Il contratto di lavoro a tempo determinato

Le nuove regole introdotte dal d.l. 48/2023.        
Facciamo chiarezza

Il contratto di lavoro “a tempo determinato”, anche detto “a termine”, è un contratto di lavoro subordinato nel quale viene apposto un termine che indica la durata massima del rapporto di lavoro.

Si tratta di una tipologia contrattuale che offre ai datori di lavoro il vantaggio di una maggiore flessibilità, specialmente in periodi economici particolarmente difficili, com’è avvenuto nella fase di ripresa dalla pandemia da COVID-19 in cui si è registrato un incremento delle assunzioni a tempo determinato.
Ne abbiamo parlato nel nostro precedente articolo del 6 maggio 2021.

La forma ordinaria del rapporto di lavoro subordinato è rappresentata dal tempo indeterminato, pertanto la possibilità di concludere contratti a termine costituisce una eccezione disciplinata dal Legislatore che ha previsto termini e condizioni, le cosiddette “causali”, in mancanza delle quali non è possibile inserire nel contratto un termine massimo di durata del rapporto di lavoro.     

Negli anni e con l’avvicendarsi dei Governi la disciplina del contratto a tempo determinato è stata modificata dal susseguirsi di leggi e decreti legislativi.
Da ultimo il Decreto Legge n. 48 del 4 maggio 2023 convertito dalla Legge n. 85 del 3 luglio 2023 ha parzialmente modificato il D.lgs. 81/2015 con particolare riferimento alle disposizioni in materia di condizioni, proroghe e rinnovi dei contratti a termine.

Nella difficoltà generata dalle varie normative è intervenuto il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali a fare chiarezza con la circolare n. 9 del 9 ottobre del 2023.

Il contratto di lavoro a tempo determinato.

Le nuove regole introdotte dal d.l. 48/2023.        
Le condizioni che legittimano l’apposizione del termine al contratto di lavoro.

Le causali che rendono “rigido” l’utilizzo dei contratti a termine sono previste all’art. 19 del D.lgs. 81/2015, su cui è intervenuto il D.L. 48/2023 che ha completamente riscritto le lettere a) e b) della norma.

Prima dell’entrata in vigore della riforma, le causali erano individuate in:

  • esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
  • esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.

Oggi, le nuove lettere a) e b) del co.1 dell’art. 19 valorizzano il ruolo della contrattazione collettiva nella individuazione dei casi che consentono di apporre al contratto di lavoro un termine superiore a 12 mesi e fino alla durata massima di 24 mesi.

La lettera a) si riferisce esclusivamente ai casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 dello stesso D.lgs. 81/2015, cioè le causali potranno essere individuate ad opera dei contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali che siano stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nonché dai contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali appartenenti alle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie.

La lettera b) disciplina invece il caso in cui nei contratti collettivi nazionali manchi una previsione in materia di contratti a termine e prevede che le “causali” possono essere individuate anche dai contratti collettivi applicati in azienda, purchè, come detto, stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali appartenenti alle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie.

Inoltre, la lettera b) prevede che, se non vi sono specifiche previsioni nei contratti collettivi, le parti del contratto individuale di lavoro, quindi datore di lavoro e lavoratore, possono individuare esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che giustificano l’apposizione di un termine superiore ai 12 mesi.

Quest’ultima possibilità, però, è limitata alla data del 30 aprile 2024, che deve intendersi riferita alla data in cui viene sottoscritto il contratto di lavoro, la cui durata quindi potrà anche andare oltre.
Questo significa che la causale delle “esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva” potrà essere utilizzata dal datore di lavoro per stipulare contratti a termine solo sino al 30 aprile di quest’anno.

Il legislatore ha così inteso prevedere un periodo transitorio per consentire alle Parti sociali di adeguare i CCNL, le cui previsioni costituiscono una fonte privilegiata, alla nuova disciplina introdotta dal D.L. 48/2023 che, come detto, ha inteso valorizzare il ruolo della contrattazione collettiva.

Restano inoltre utilizzabili, sino alla scadenza delle singole contrattazioni collettive, altre eventuali “causali” previste in qualsiasi livello di contrattazione collettiva purchè non si limitino ad un mero rinvio alla precedente disciplina del D.lgs. 81/2015, poi modificato dal D.L. 87/2018, che deve ritenersi ormai superata dalla riforma.

Le nuove regole introdotte dal d.l. 48/2023.        
Il regime delle proroghe e dei rinnovi.

Il D.L. n. 48/2023, convertito dalla Legge n. 85/2023, è intervenuto anche sulla disciplina delle proroghe e dei rinnovi dei contratti a tempo determinato, contenuta all’art. 21 del D.lgs. 81/2015.

In particolare si è previsto che nell’arco temporale dei primi 12 mesi, che come si è detto non richiedono una causale specifica, il contratto può essere rinnovato e prorogato liberamente senza alcuna condizione.
Decorsi 12 mesi, e comunque nel limite temporale massimo dei 24 mesi, è invece sempre necessaria la presenza di una delle condizioni previste dall’art. 19.

Una rilevante novità consiste nella introduzione di una disciplina “transitoria” che consente di stipulare  ulteriori contratti di lavoro a termine privi di causale, della durata massima di 12 mesi, indipendentemente da eventuali rapporti di lavoro già intercorsi tra lo stesso datore e lo stesso lavoratore prima della data di entrata in vigore del D.L. n. 48/2023.

Come si è detto, è sempre possibile concludere contratti a tempo determinato anche in assenza delle condizioni previste dalla legge, purchè tali contratti abbiano una durata massima di 12 mesi.
La riforma ha però previsto che ai fini del raggiungimento del limite massimo di 12 mesi, si tiene conto soltanto dei contratti stipulati dopo il 5 maggio 2023, cioè la data di entrata in vigore del D.L. N. 48/2023.

La conseguenza di tale previsione è che se tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore sono già intercorsi dei rapporti di lavoro a tempo determinato in forza di contratti stipulati prima della data del 5 maggio 2023, questi non concorrono al raggiungimento del termine di 12 mesi entro il quale viene consentito il ricorso libero al contratto di lavoro a termine.

Di fatto questa regola transitoria consente per i vecchi contratti a termine di azzerare i mesi di “acausalità”, in modo da consentire di poter fruire di un nuovo periodo di dodici mesi.

A decorrere dal 5 maggio 2023, pertanto, per gli stessi soggetti è possibile rinnovare o prorogare il contratto a termine, per un massimo di ulteriori 12 mesi senza la necessità di una di quelle causali di cui all’art. 19.      

Al contrario, tutti i contratti di lavoro a termine tra le stesse parti sottoscritti o rinnovati/prorogati dopo il 5 maggio 2023 concorrono al raggiungimento dei 12 mesi “liberi”, dopo i quali per eventuali proroghe o rinnovi sarà sempre necessaria la sussistenza di una delle causali giustificative.

Per esempio, se dopo il 5 maggio 2023 le stesse parti hanno rinnovato o prorogato un rapporto di lavoro a termine per sei mesi, le stesse parti avranno la possibilità di fare ricorso al contratto a termine “senza causali” per un ulteriore periodo fino ad un massimo di soli sei mesi.

Le nuove regole introdotte dal d.l. 48/2023. Cosa rimane della vecchia disciplina.

Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore ai 12 mesi, tuttavia in presenza di determinate condizioni è possibile estendere tale termine sino ad un massimo di 24 mesi.

Questo limite di durata massima del rapporto di lavoro a tempo determinato non è stato modificato dal D.L. n. 48/2023, che rimane quindi fissato in 24 mesi, così come non è stato modificato il numero massimo di proroghe consentite.     
Sarà quindi sempre possibile prorogare il contratto a tempo determinato per un numero massimo di quattro volte, purchè ovviamente queste proroghe rientrino nell’arco temporale limite dei 24 mesi.

Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato con decorrenza dalla data della quinta proroga.

Resta inalterata anche il regime delle interruzioni tra un contratto di lavoro a termine e l’altro, il cosiddetto “stop and go”.         
Infatti, se il contratto a tempo determinato può essere rinnovato a fronte dell’esistenza delle circostanze previste dalle causali di cui si è detto (di cui al nuovo art. 19, comma 1) ai fini del rinnovo, è necessario che sia rispettato un intervallo temporale tra la sottoscrizione dei due contratti a termine, stipulati tra le stesse parti e per le stesse mansioni.       
L’intervallo temporale è di:

  • 10 giorni per i contratti fino a 6 mesi;
  • 20 giorni per i contratti di durata superiore a 6 mesi.

Anche in questo caso qualora siano violate le disposizioni sulle interruzioni temporali, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato.

Il D.L. n. 48/2023, infine, riconferma la possibilità per il datore di lavoro, già prevista anche nella disciplina previgente, di fare ricorso ai contratti a termine quando la necessità sia quella di sostituire altri lavoratori, per esempio la sostituzione di una lavoratrice in congedo di maternità, con il rigido divieto di sostituzione dei lavoratori assenti nell’esercizio del diritto di sciopero.

Rimane fermo l’onere per il datore di lavoro di specificare nel contratto le ragioni concrete della sostituzione, soprattutto in quelle ipotesi in cui il datore intende avvalersi dei benefici previsti dalla legge per specifiche ipotesi di assunzione per sostituzione, come ad esempio gli sgravi contributivi.

Le nuove regole introdotte dal d.l. 48/2023.  Riepiloghiamo.

Durata massima del contratto a termine “senza causali”12 mesi
Durata massima generale del contratto a termine24 mesi
Proroghe/rinnovi consentiti in 24 mesi4
Causali che legittimano il ricorso al contratto a termine-casi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali che siano stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; -casi previsti dai contratti collettivi applicati in azienda; -sostituzione di altri lavoratori; -esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva ma solo fino al 30 aprile 2024.
Contratti a termine stipulati tra le stesse parti prima del 5 maggio 2023Rinnovabili o prorogabili “senza condizioni” per ulteriori 12 mesi
Contratti a termine stipulati tra le stesse parti dopo il 5 maggio 2023Concorrono al computo dei 12 mesi, quindi sono prorogabili o rinnovabili per i mesi residui sino al raggiungimento del limite dei 12 mesi
Intervallo temporale tra contratti a termine tra le stesse parti (stop and go)10 giorni per i contratti fino a 6 mesi;20 giorni per i contratti di durata superiore a 6 mesi.
I contratti a termine stipulati da: Pubbliche amministrazioni Università private Istituti pubblici di ricerca Società pubbliche o enti privati che promuovono la ricerca e l’innovazione-non soggetti alla riforma del D.L. 48/2023 -durata massima di 36 mesi -utilizzabili esclusivamente in presenza di comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo ed eccezionale
Numero complessivo di contratti a termine stipulabile da uno stesso datore di lavoro-aziende con più di 5 dipendenti: non può eccedere il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza all’azienda al 1° gennaio dell’anno di assunzione -aziende fino a 5 dipendenti: sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato

Gli avvocati dello Studio Dedoni sono a disposizione per l’analisi e la consulenza in merito a ciascuna singola problematica relativa ai contratti di lavoro a termine.

Dopo aver conseguito la maturità classica, nel settembre 2022 si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Cagliari riportando la votazione di 110/110 e lode, con una tesi in diritto del
lavoro dal titolo “L’indebito retributivo nel pubblico impiego privatizzato”.

Nel corso degli studi ha approfondito le proprie conoscenze, in particolare, in materia di diritto del lavoro, pubblico e privato, e
in materia di previdenza sociale. Da novembre 2022 collabora con lo Studio Legale Dedoni, dove svolge la pratica forense.