Il Giudice: illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto quando la malattia è imputabile al datore di lavoro e liquidazione del danno nel Rito Fornero.

Si segnala un’interessante pronuncia del Tribunale di Cagliari, Sezione del Lavoro in materia di licenziamento per superamento del periodo di comporto nel caso in cui la malattia sia diretta conseguenza delle condotte omissive del datore di lavoro nel rispetto delle norme poste a tutela della salute e della sicurezza dei propri dipendenti.

La vicenda all’esito della quale è intervenuta la decisione del Tribunale qui commentata riguardava un lavoratore, difeso dallo Studio Legale Dedoni, che aveva subito, nel corso degli anni, una serie di condotte vessatorie e persecutorie da parte di un collega di lavoro senza che l’Azienda, pur a conoscenza delle vicende, avesse posto in essere alcuna attività correttiva al fine di impedire il protrarsi della vicenda. A causa di tali condotte il lavoratore si assentava ben oltre il termine di comporto previsto dal CCNL, con conseguente licenziamento del lavoratore.

Quando la malattia del lavoratore è imputabile al datore di lavoro: la figura dello straining

Affinchè la malattia del dipendente sia imputabile al datore di lavoro “è necessario che in relazione a tale malattia e alla sua genesi sussista una responsabilità dal datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087..dunque è necessario verificare, alla luce degli elementi di conoscenza acquisiti in causa, se la condotta della datrice di lavoro integri, quantomeno in esito alla sommaria istruttoria, la violazione dei doveri di protezione compendiati dalla predetta disposizione codicistica. Va fin da ora precisato che la responsabilità datoriale non è affatto esclusa laddove le condotte lesive provengano da un soggetto posto in posizione di supremazia gerarchica nei confronti della vittima, posto che, in tal caso, il datore di lavoro risponde ai sensi dell’art. 2049 c.c. per aver omesso di adottare le opportune misure finalizzate a far cessare l’illecito” (cfr ordinanza in parte motiva).

Nella vicenda patrocinata dallo Studio, il Giudice ha ritenuto che le condotte accertate, pur non potendo assurgere al grado di mobbing, erano idonee ad integrare la fattispecie di straining ovvero “una figura attenutata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie”.

La figura dello straining è stata coniata dalla giurisprudenza e risponde all’esigenza di tutelare il lavoratore che sviluppa delle patologie direttamente connesse all’organizzazione del lavoro derivante dalle disposizioni aziendali. Ovviamente non sempre l’organizzazione del lavoro è causa della malattia del dipendente ma soltanto nel caso in cui essa violi le norme previste in materia di sicurezza e igiene del lavoratore. E’ dunque richiesta una condotta, da parte del datore di lavoro, che rivesta i caratteri dell’illegittimità e dell’illiceità, e che può essere di tipo omissivo, come nel caso di specie, e, in particolare, di mancanza di controllo delle condizioni di lavoro e di conseguente rimozione degli elementi “dannosi” in capo al datore di lavoro. Come si vede, dunque, la differenza fondamentale tra il mobbing e lo straining è che il primo si caratterizza per l’esistenza della finalità persecutoria a cui sono tese le condotte lesive mentre, il secondo, può anche essere carente di tale intento, ma comunque presenta una serie di condotte che sono idonee a ledere la sfera personale del dipendente perché comunque in violazione del generale precetto di cui all’art. 2087 c.c. (cfr ex multis Cass. Civ. 24883/2019).

Pertanto, una volta accertata la responsabilità del datore di lavoro nella causazione della malattia che ha determinato la prolungata assenza del lavoratore anche oltre il termine del periodo di comporto, il Giudice ha dichiarato la nullità del licenziamento con conseguente ordine di reintegrazione del dipendente nonché condanna al pagamento dell’indennità risarcitoria liquidata in dodici mensilità dell’ultima retribuzione di fatto, ovvero il massimo previsto dall’art. 18 L. n. 300/1970 per queste fattispecie, nonché la regolarizzazione contributiva e previdenziale per il periodo dal licenziamento fino alla reintegrazione.

Rito fornero e domande diverse dall’impugnativa di licenziamento: il risarcimento del danno da mobbing o straining.

All’indomani dell’emanazione della Legge n. 92/2012, che ha introdotto lo speciale Rito “Fornero”, dedicato alla cognizione dei contenziosi aventi ad oggetto l’impugnazione di licenziamenti assistiti dalla tutela di cui all’art. 18 L. n. 300/1970, il dibattito giurisprudenziale e dottrinale si è concentrato sulla problematica dell’ammissibilità delle domande diverse da quelle di impugnativa del licenziamento, in ragione del combinato disposto dei commi 47 e 48 dell’art. 1 L. n. 92/2012, i quali espressamente stabiliscono l’inammissibilità delle domande diverse da quelle di impugnazione, fatte salve quelle fondate sugli stessi fatti che hanno originato l’impugnazione del licenziamento.

La Sentenza del Tribunale di Cagliari si segnala per la sua innovatività nell’approccio alla materia. Ed infatti, ai fini dell’ammissibilità della domanda valorizza, da un lato, la nozione di identicità dei fatti costitutivi al fine di fondare la proponibilità delle diverse domande al Giudice in sede del richiamato rito speciale e, dall’altro, l’opportunità, secondo un criterio di economia e speditezza processuale, di trattare in unico processo le domande che, appunto, si fondano sulle stesse vicende sostanziali.

Quantificazione del danno da mobbing: il danno differenziale.

La Sentenza si sofferma poi sulla quantificazione del danno non patrimoniale a seguito della condanna per mobbing.

In particolare si afferma che trattandosi di malattia causata da condotte datoriali e quindi in ambiente lavorativo, essa è astrattamente risarcibile, quantunque nel limite del danno biologico tabellato, dall’INAIL, residuando dunque, al di fuori di tale voce di danno, il cosiddetto danno differenziale, “ossia quell’importo ristorabile a titolo di danno biologico, secondo i criteri civilistici diminuito dell’importo indennizzato ex art. 13 d.lgs. n. 38/2000, parimenti riconoscibile al lavoratore nei confronti della parte datoriale e/o di terzi danneggianti ai sensi dell’art. 10 del DPR 1125/1965”.

Gli avvocati del lavoro dello Studio Legale Dedoni sono a disposizione per ogni chiarimento.

Avv. Ivano Veroni  mail: ivano.veroni@studiolegalededoni.it

L’avvocato Ivano Veroni collabora con lo studio Dedoni dall’anno 2011.
Durante l’esercizio della professione, l’Avvocato Veroni ha maturato specifiche competenze nel settore del Diritto del Lavoro e nel Diritto Civile, con particolare attenzione alla materia condominiale.