Licenziamento disciplinare senza preventiva contestazione.   

Quale tutela applicabile: reintegrazione o tutela indennitaria? Le oscillazioni della giurisprudenza.

Come noto, la Legge n. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero) ha rivoluzionato il sistema delle sanzioni per la violazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, la Legge 300/1970.
Il Decreto Legislativo n. 23/2015 (c.d. Jobs Act) ne ha riprodotto lo schema.

Ed infatti sia l’art. 18, comma 6, della L. 300/1970, come riformato dalla L. n. 98/2012, sia l’art. 4 del D.lgs. n. 23/2015 hanno previsto sanzioni indennitarie attenuate per le ipotesi di vizi procedurali.
Tale impianto sanzionatorio, che aveva lo scopo dichiarato di limitare la sanzione della reintegrazione ai soli casi di grave violazione di norme sostanziali, con esclusione della violazione di norme procedurali, è stato recentemente rivisitato dalla giurisprudenza.

Una di tali rivisitazioni affrontate dalla giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, attiene alla tutela applicabile, nell’alternativa tra reintegrazione e indennità economica, per i casi in cui il datore di lavoro irroghi il licenziamento disciplinare senza aver prima contestato il fatto al lavoratore, con evidente violazione della procura prevista dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.

Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 10104/2024, richiamando l’orientamento consolidato della Suprema Corte secondo cui “la radicale mancanza di contestazione non costituisce solo una violazione formale ma concreta una violazione con riflessi sostanziali”, ha affermato che la mancanza della procedura disciplinare determinerebbe la violazione dell’art. 7 della L. 300/1970, che è norma imperativa.
Di fatto, il Tribunale arriva a configurare la fattispecie come “nullità di protezione”, posta a tutela del lavoratore che è parte debole del rapporto, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria piena, ai sensi dell’art. 2 del D.lgs. 23/2015, a prescindere dal numero di lavoratori impiegati.

La Corte d’Appello di Bari, con la sentenza n. 1497/2023, ritenendo che il licenziamento intimato senza la previa osservanza delle garanzie procedimentali di cui all’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori non sia nullo ma assimilabile a quello privo di idonea giustificazione e dunque solo illegittimo, ha invece riconosciuto alla lavoratrice la sola tutela indennitaria, trattandosi, nel caso di specie, di datore di lavoro “sotto soglia”, cioè con meno di quindici dipendenti.

Secondo la Corte d’Appello di Bari, quindi, in caso di omissione totale della contestazione disciplinare, qualora non sussistano i requisiti dimensionali per l’applicazione della tutela reale, deve trovare applicazione la tutela obbligatoria e non quella reintegratoria, dovendo il recesso considerarsi ingiustificato e, dunque, annullabile e non nullo.

Si tratta, dunque, di due pronunce che partono da fattispecie analoghe per giungere a conclusioni opposte sia nella individuazione della tutela applicabile sia nella considerazione della natura, meramente formale o con effetti sostanziali, del vizio di cui si discute.

La sentenza del tribunale di roma.
È
nullo il licenziamento disciplinare senza preventiva contestazione.
Si applica la tutela reale attenuata a prescindere dalle dimensioni del datore di lavoro.

Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 10104/2024 del 10 ottobre scorso, ha deciso sul ricorso con il quale un lavoratore ha impugnato il licenziamento disciplinare irrogato dal datore di lavoro senza la preventiva contestazione disciplinare.
Nel caso di specie si trattava di una impresa “sotto soglia”, con meno di quindici dipendenti, e di un lavoratore assunto dopo il marzo 2015.
Il Giudice del Tribunale di Roma richiama, in primo luogo, la sentenza n. 4879/2020 della Corte di Cassazione, nella quale si afferma che “il radicale difetto di contestazione dell’infrazione determina l’inesistenza dell’intero procedimento e non solo l’inosservanza delle norme che lo disciplinano, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria per insussistenza del fatto”.

Il Tribunale esclude quindi la possibilità di applicare l’art. 4 del D.lgs. 23/2015, che prevede una tutela indennitaria attenuata per le violazioni di tipo formale, in quanto la radicale mancanza di contestazione disciplinare non costituisce solo una violazione formale ma una violazione con riflessi sostanziali.
Viene altresì esclusa l’applicazione dell’art. 3, comma 2, del D.lgs. 23/2015, che prevede la tutela reintegratoria attenuata con riferimento alle ipotesi di insussistenza del fatto.
L’esclusione di tale tutela è giustificata dal fatto che, per espressa previsione di legge ex art. 9 dello stesso D.lgs., non si applica alle imprese con meno di quindici dipendenti.

La tutela di cui all’art. 3, comma 1, del D.lgs. 23/2015, attiene invece alle ipotesi in cui “risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa”. Si tratta, però, di una tutela residuale, che riguarda ipotesi in cui non ricorre il requisito causale, meno gravi della insussistenza del fatto ma comunque diverse dalle violazioni di regole procedurali.

Il Tribunale di Roma evidenzia che il meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 3 nel suo complesso si basa sulla valutazione dei fatti posti a giustificazione del licenziamento e, precisamente, sulla valutazione del “fatto materiale contestato”, la cui sussistenza o insussistenza è accertata in giudizio se il fatto è delineato nei suoi esatti termini in sede di contestazione.
Ne consegue che non può rientrare in questo meccanismo sanzionatorio il caso di specie, costituito da una violazione del procedimento consistente nella mancanza assoluta di contestazione, che mina le garanzie di difesa previste dalla legge per il lavoratore incolpato.

Il Giudice del Lavoro si sofferma a ragionare sulla portata della norma di cui all’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori e richiama un principio ormai solido nella giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui “la nullità di una sanzione disciplinare per violazione del procedimento finalizzato alla sua irrogazione, rientra tra quelle di protezione, poiché ha natura inderogabile ed è posta a tutela del contraente più debole del rapporto, vale a dire il lavoratore”.
In virtù delle garanzie e dei diritti del lavoratore presidiati dall’art. 7 dello Statuto, la norma deve considerarsi imperativa con la conseguenza che la sua violazione determina una nullità di protezione: alla luce di tali principi non si è in presenza di una mera deviazione formale dallo schema procedimentale della norma disciplinare, bensì di una vera e propria nullità.

Da tale ragionamento, il Tribunale di Roma fa discendere l’applicabilità dell’art. 2, comma 1, del D.lgs. 23/2015, anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 22/2024, che ha dichiarato l’incostituzionalità della norma nella parte in cui limitava la tutela reintegratoria “nei soli casi espressamente previsti dalla legge”, così estendendo la tutela reintegratoria piena a tutti i casi di nullità, anche se non espressamente stabiliti.

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale, l’art. 2 co.1 comprende, tra le ipotesi meritevoli di tutela reintegratoria, anche quelle ipotesi di nullità che, pur in mancanza di una espressa previsione di legge, costituiscono ipotesi di contrarietà a norme imperative ai sensi dell’art. 1418 c.c.

Il Giudice del Lavoro di Roma ha concluso osservando che, nel caso sottoposto alla sua attenzione, non vi sarebbe dubbio che la prescrizione violata, cioè l’art. 7 della L. 300/1970, sia contenuta in una norma imperativa e che la violazione incide concretamente sulle garanzie di difesa del lavoratore, generando così una nullità di protezione conseguente al mancato rispetto del procedimento dettato a garanzia del lavoratore.

La sentenza del Tribunale di Roma, quindi, ha fatto applicazione della tutela di cui all’art. 2, comma 1, del D.lgs. 23/2015, in forza del quale “il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento (…) perché riconducibile agli altri casi di nullità previsti dalla legge, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto” e qualunque sia la dimensione dell’azienda, dichiarando, conseguentemente, la nullità del licenziamento con condanna del datore di lavoro alla reintegrazione, nonché al pagamento di una indennità risarcitoria.

La sentenza della corte d’appello di Bari. 
È illegittimo il licenziamento intimato senza preventiva contestazione disciplinare.
Si applica la tutela indennitaria in caso di datore di lavoro sotto soglia.

Con la sentenza n. 1497/2023, la Corte d’Appello di Bari ha riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Foggia, con la quale, in una ipotesi sostanzialmente analoga a quella esaminata nel paragrafo precedente, cioè un licenziamento disciplinare irrogato senza il preventivo procedimento disciplinare, il Giudice del Lavoro di Foggia aveva confermato l’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria del rito Fornero, dichiarando l’inesistenza del licenziamento e condannando la datrice di lavoro alla reintegrazione della lavoratrice ed al pagamento in suo favore di una indennità risarcitoria.

Nel caso di specie, però, la lavoratrice era stata assunta prima del marzo 2015 e dunque la tutela applicabile era da ricercarsi nell’art. 18 della Legge 300/1970, così come modificata dalla Riforma Fornero, la L. 92/2012.

Il Giudice di primo grado aveva osservato che, essendo pacifico che il licenziamento fosse stato irrogato senza la preventiva contestazione disciplinare del fatto, l’unica questione era relativa all’applicabilità o meno della tutela reale.

Secondo la società datrice di lavoro, la mancanza della preventiva contestazione disciplinare era ascrivibile al “vizio di motivazione”, con conseguente applicazione della tutela indennitaria.

Il Tribunale aveva tuttavia ritenuto di dare continuità all’orientamento della Corte di Cassazione, da ultimo la sentenza n. 4879/2020 del 24 febbraio 2020, nella quale la Suprema Corte chiariva che “il radicale difetto di contestazione dell’infrazione determina l’inesistenza dell’intero procedimento e non solo l’inosservanza delle norme che lo disciplinano, con la conseguente applicazione della tutela reintegratoria di cui al co. 4 dell’art. 18 della L. 30/1970 così come modificato dalla L. 92/2012 richiamata dal comma 6 dell’art. 18”.

L’art. 18 co.6, che prevede l’inefficacia del licenziamento per violazione del requisito di motivazione, disciplina altresì l’ipotesi in cui “il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento” e in tal caso la tutela applicabile sarà quella di cui al co.4 dello stesso art. 18, cioè la reintegrazione.

Infatti, secondo il Giudice del Lavoro di Foggia, un licenziamento disciplinare adottato senza alcuna contestazione di addebito rientra nelle ipotesi di difetto assoluto di giustificazione, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria prevista al co. 4 dell’art. 18.

Conseguentemente, aveva rigettato la tesi della datrice di lavoro, secondo la quale si sarebbe dovuta applicare la tutela obbligatoria in ragione del requisito dimensionale, in quanto il caso di specie non afferiva ad un licenziamento affetto da vizio di motivazione ma da difetto assoluto ed era stato espressamente risolto dalla Cassazione in termini di “inesistenza”, con conseguente irrilevanza del requisito dimensionale.

La società ha reclamato la sentenza di primo grado, lamentando, tra gli altri motivi, l’illegittimità della pronuncia nella parte in cui aveva affermato che un licenziamento disciplinare privo della relativa contestazione poteva portare, anche nell’ambito di un rapporto di lavoro assistito dalla c.d. tutela obbligatoria, in ragione del numero di dipendenti, alla reintegrazione nel posto di lavoro.

Secondo la Corte d’Appello di Bari, la fattispecie ricade nell’ambito di operatività della tutela indennitaria.
La Corte richiama l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il licenziamento disciplinare intimato senza la previa osservanza delle garanzie procedimentali stabilite dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratorinon è viziato da nullità ma è soltanto ingiustificato, nel senso che il comportamento addebitato al dipendente ma non fatto valere attraverso il suddetto procedimento non può (…) essere addotto dal datore di lavoro per sottrarsi all’operatività della tutela apprestata al lavoratore dall’ordinamento nelle diverse situazioni” e, proprio in relazione alla diversificazione delle varie forme di tutela, “tale inosservanza rende l’atto di recesso inidoneo alla realizzazione della sua causa risolutiva del rapporto di lavoro soltanto nell’area di operatività della tutela reale”.
Negli altri casi, l’effetto della risoluzione rimane comunque realizzato in quanto considerato preminente rispetto all’interesse del lavoratore alla conservazione del posto.

Volendo dare continuità a questo orientamento, la Corte d’Appello di Bari ha ritenuto che nel caso sottoposto al suo esame, non si controverte di un licenziamento inficiato da nullità ma di un recesso privo di idonea giustificazione nell’ambito della tutela obbligatoria, con la conseguenza che non ricorrono i presupposti di operatività della tutela reintegratoria di cui al comma 4 dell’art. 18.

Ciò perché, per espressa previsione di legge, precisamente il comma 8 dello stesso art. 18, il comma 4 non si applica ai datori di lavoro “sotto soglia”, cioè che occupano alle proprie dipendenze meno di quindici dipendenti.

La Corte d’Appello di Bari ha, infine, dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato senza contestazione disciplinare e riconosciuto alla lavoratrice la tutela meramente risarcitoria accordabile ai lavoratori illegittimamente licenziati nell’alveo della tutela obbligatoria.

Alcune considerazioni finali.

Al di là della normativa applicabile ratione temporis a seconda della data di assunzione del lavoratore, le pronunce esaminate aprono la riflessione sulla portata dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori e sulla natura, formale o sostanziale, della sua violazione.

Occorre considerare, come ricorda la Corte Costituzionale in uno dei più importanti arresti in materia, la Sentenza n. 150/2020, quelli che sono i valori sottesi alle garanzie accordate al lavoratore in tema di obblighi formali in capo al datore di lavoro con particolare riferimento alle prescrizioni formali e procedurali che regolano il potere di recesso.

Queste regole procedurali rivestono una essenziale funzione di garanzia: le previsioni di cui all’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori assegnano al contraddittorio un ruolo centrale così come centrale è l’obbligo di motivazione. Ma tutto il procedimento disciplinare, articolato nelle fasi della conoscibilità delle norme disciplinari, della preventiva contestazione, del diritto del lavoratore ad essere sentito, concorre a tutelare la dignità del lavoratore ed a delimitare il potere unilaterale del datore di lavoro che si può spingere fino alla sanzione espulsiva.

Alla luce di queste considerazioni, le regole procedurali, previste dalla legge per l’esercizio del potere del datore di lavoro, presidiano il diritto di difesa del lavoratore e, più in generale, la persona del lavoratore e la dignità del lavoro così come costituzionalmente tutelato.

Sembra quindi fondato il più recente orientamento della Corte di Cassazione secondo cui la radicale mancanza di contestazione non costituisce solo una violazione formale ma concreta una violazione con riflessi sostanziali, con conseguente nullità del licenziamento, anche se sarà necessario attendere l’eventuale consolidamento di tale nuovo indirizzo.

Gli avvocati dello Studio Dedoni sono a disposizione per la risoluzione dei casi concreti in materia di licenziamento.

Dopo aver conseguito la maturità classica, nel settembre 2022 si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Cagliari riportando la votazione di 110/110 e lode, con una tesi in diritto del
lavoro dal titolo “L’indebito retributivo nel pubblico impiego privatizzato”.

Nel corso degli studi ha approfondito le proprie conoscenze, in particolare, in materia di diritto del lavoro, pubblico e privato, e
in materia di previdenza sociale. Da novembre 2022 collabora con lo Studio Legale Dedoni, dove svolge la pratica forense.