Dimissioni Del Lavoratore Trasferito Oltre 50km Dalla Propria Residenza. Sussiste Il Diritto Alla Naspi.

Il Tribunale Di Torino Ribalta La Prassi Dell’inps.

Con la sentenza n. 429 del 27 aprile 2023, il Tribunale di Torino ha, di fatto, delegittimato una prassi ormai consolidatasi presso l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e chiarita nel messaggio INPS n. 369/2019, con la quale veniva negato il riconoscimento della indennità di disoccupazione in favore dei lavoratori dimissionari a seguito di un provvedimento di trasferimento presso una sede distante oltre i 50 chilometri dalla residenza del lavoratore medesimo o, comunque, raggiungibile coi mezzi pubblici con un tempo di percorrenza superiore agli 80 minuti.

Dimissioni Del Lavoratore Trasferito Oltre 50km Dalla Propria Residenza. Sussiste Il Diritto Alla Naspi. La Disciplina Del Trasferimento Del Lavoratore.

Il trasferimento del lavoratore consiste nel mutamento definitivo della sua sede lavorativa e si verifica quando il datore di lavoro, nell’esercizio del potere di modifica unilaterale di alcune condizioni del contratto di lavoro, riconosciuto dall’ordinamento all’art. 2086 c.c., modifica il luogo della prestazione in via definitiva.

Il potere di cui all’art. 2086 c.c., tuttavia, deve essere esercitato nei limiti di cui all’art. 2103 c.c. il cui comma 8 sancisce espressamente che il lavoratore può essere trasferito ad una diversa unità produttiva esclusivamente in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Laddove il trasferimento non sia sorretto da tali ragioni, esso sarà pertanto illegittimo.

Tuttavia, anche in presenza di un trasferimento pienamente legittimo, vi sono delle ipotesi peculiari che fanno eccezione alla disciplina generale in ragione della natura delle posizioni giuridiche soggettive coinvolte.

Infatti, il solo fatto che l’ordinamento riconosca al datore di lavoro il potere di modificare il luogo della prestazione, anche nelle ipotesi in cui esso sia legittimamente esercitato, non rende tout court illegittimo il rifiuto del lavoratore ad accettare tale mutamento contrattuale, con la conseguenza che la mancata accettazione di tale modifica non potrà qualificarsi automaticamente come inadempimento da parte del lavoratore.

Come è noto, il diritto alla indennità di disoccupazione, cosiddetta NASpi, sorge a seguito di perdita involontaria del posto di lavoro e dunque non si ha diritto alla NASpi in caso di dimissioni volontarie.

Si tratta, pertanto, di chiarire se e quando, il lavoratore che ha risolto il proprio rapporto di lavoro a seguito di trasferimento ad altra sede distante oltre 50km dalla propria residenza ha diritto alla percezione della NASpi e, cioè, se le dimissioni del lavoratore rassegnate in questa specifica ipotesi possano integrare la fattispecie della perdita “involontaria” del posto di lavoro.

Dimissioni Del Lavoratore Trasferito Oltre 50km Dalla Propria Residenza: Il Messaggio Inps N. 369/2018.

Con il messaggio n. 369 del 26 gennaio 2018, L’istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha dato chiarimenti alle numerose richieste delle strutture territoriali volte alla definizione dei casi concreti aventi ad oggetto “l’accesso alla indennità di disoccupazione NASpi nelle ipotesi di risoluzione consensuale in seguito al rifiuto da parte del lavoratore al proprio trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblico e nelle ipotesi di dimissioni per giusta causa a seguito del trasferimento del lavoratore”.

L’INPS, richiamando l’art. 2 co. 4 della Legge n. 92/2012 e l’art. 3 del Dlgs. n.22/2015, che riconoscono, rispettivamente, il diritto all’indennità di disoccupazione in ambito ASpI e all’indennità NASpI ai lavoratori dipendenti che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e in presenza degli ulteriori requisiti legislativamente previsti, si sofferma in particolar modo sul requisito della involontarietà dello stato di disoccupazione.

In particolare, tali indennità di disoccupazione sono riconosciute anche nelle ipotesi di dimissioni per giusta causa e di risoluzione consensuale intervenuta nell’ambito della procedura di conciliazione di cui all’art. 7 della Legge n. 604/1966, come modificato dalla Legge n. 92/2012, e cioè nel caso del cosiddetto prelicenziamento per i casi di giustificato motivo oggettivo, nell’ambito della Legge Fornero, nonché in talune ipotesi in cui la cessazione del rapporto di lavoro non consegue ad un atto unilaterale del datore di lavoro.

Il riferimento è alle ipotesi di dimissioni per giusta causa, cioè in presenza di una condizione di improseguibilità del rapporto di lavoro: ipotesi in cui, quindi, l’atto di dimissioni del lavoratore è comunque da ascrivere al comportamento di un altro soggetto e lo stato di disoccupazione che ne consegue non può che ritenersi involontario.

Parimenti, lo stato di disoccupazione può ritenersi involontario nelle ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro in cui le parti addivengono alla risoluzione consensuale al termine della procedura di conciliazione, sia in esito al rifiuto del lavoratore al trasferimento ad altra sede che sia distante oltre 50 km dalla propria residenza o comunque raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico.

Con riferimento all’ipotesi di risoluzione consensuale in esito al rifiuto del trasferimento, l’INPS ribadisce il riconoscimento della indennità di disoccupazione in ragione della considerazione per cui la volontà del lavoratore può essere stata indotta dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro conseguenti al trasferimento.

L’indennità di disoccupazione, inoltre, può essere pacificamente riconosciuta anche laddove nei suddetti casi di risoluzione a seguito di rifiuto del trasferimento da parte del lavoratore, le parti, in sede di conciliazione, convengono sulla corresponsione a vario titolo di somme, di qualunque importo esse siano, a favore del lavoratore e anche diverse da quelle spettanti in relazione al pregresso rapporto di lavoro, come nel caso del ricevimento di somme a titolo di incentivo all’esodo.

Diverso, invece, è l’orientamento applicativo INPS con riferimento ai casi in cui il lavoratore rassegni le proprie dimissioni a seguito del trasferimento ad altra sede.

In tali casi, infatti, secondo l’INPS, ricorre la giusta causa delle dimissioni, che legittima l’accesso alla NASpi solo qualora “il trasferimento non sia sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive di cui all’art. 2103 c.c., e ciò indipendentemente dalla distanza tra la residenza del lavoratore e la nuova sede di lavoro.”.

In ragione di quanto sopra, dunque, qualora il lavoratore dichiari di essersi dimesso per giusta causa, a seguito di trasferimento ad altra sede dell’azienda, per poter godere della prestazione NASpi dovrà corredare la propria domanda con una documentazione dalla quale risulti, quanto meno, la volontà di “difendersi in giudizio”, quindi diffide, esposti, citazioni, ricorsi d’urgenza ex art. 700 c.p.c., e ogni altro documento idoneo, contro il datore di lavoro, impegnandosi a comunicare l’esito della controversia, giudiziale o stragiudiziale.

Con l’ulteriore conseguenza che, laddove l’esito della vertenza dovesse escludere l’illegittimità del trasferimento, si dovrà procedere al recupero di quanto percepito dal lavoratore a titolo di indennità di disoccupazione.

In definitiva, l’INPS distingue chiaramente le due ipotesi: qualora le parti si accordino per una risoluzione consensuale a seguito di mancata accettazione del trasferimento, il lavoratore avrà pacificamente accesso al sussidio, mentre, ove sia il lavoratore a procedere unilateralmente al recesso, pur causalmente determinato dalla medesima circostanza ovvero il trasferimento, questi, per avere diritto all’indennità di disoccupazione dovrà dimostrare che il recesso stesso è fondato su giusta causa, la quale, a parere dell’INPS, ricorre ove il trasferimento sia illegittimo.

Il caso affrontato dal tribunale di Torino.

Con la menzionata sentenza n. 429/2023 il Tribunale di Torino ribalta l’orientamento applicativo INPS ritenendo che per i dipendenti trasferiti in una diversa sede lavorativa distante otltre 50 km dalla residenza del lavoratore, le dimissioni per giusta causa che darebbero diritto alla NASpi non obbligano il lavoratore a provare l’illegittimità del trasferimento.

Il Giudice del Lavoro di Torino è stato chiamato a risolvere la controversia insorta tra la ricorrente, che aveva rassegnato le proprie dimissioni indicando quale giustificazione il “rifiuto del trasferimento in altra sede distante 80 km dalla residenza”, e l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale che aveva rigettato la domanda NASpi presentata dalla lavoratrice motivando il rifiuto secondo la prassi chiarita nel messaggio INPS n. 369/2018 in forza della quale “in caso di trasferimento a più di 50 km dalla residenza del lavoratore e7o raggiungibile in più di 80 minuti con i mezzi pubblici, la cessazione deve avvenire per risoluzione consensuale per poter accedere alla NASpi. In caso di dimissioni per giusta causa è necessario che il lavoratore provi che il trasferimento non sia sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.

In primo luogo, il Tribunale di Torino, in funzione di Giudice del Lavoro, richiama la normativa di riferimento contenuta nel Dlgs. 22/2015, dalla quale si evincerebbe che il Legislatore ha istituito tale indennità mensile di disoccupazione con la funzione di “fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione”.

Nel caso di specie, risulta pertanto fondamentale valutare se la ricorrente abbia perduto involontariamente l’occupazione, e quindi verificare se la scelta di dimettersi sia frutto di una decisione spontanea e volontaria della lavoratrice ovvero indotta dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro, conseguenti al trasferimento ad altra sede imposto dal datore di lavoro.

Secondo il Tribunale, è lo stesso Ente a ritenere che il trasferimento ad altra sede dell’azienda, distante più di 50 km dalla residenza del lavoratore e/o raggiungibile in più di 80 minuti con i mezzi pubblici, configuri una notevole variazione delle condizioni di lavoro, che conseguentemente rende involontaria la perdita dell’occupazione e radica il diritto alla indennità in ipotesi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

Peraltro, ciò implica che l’INPS ammette e riconosce che, in generale, subire un trasferimento di tale entità impatti in misura rilevante sulle condizioni di vita personali, lavorative e familiari del lavoratore al punto da rendere la decisione di interrompere il rapporto di lavoro non volontaria.

Per le stesse ragioni, la decisione del lavoratore di dimettersi dopo aver subito un trasferimento di tale natura, a prescindere dalla legittimità o meno della scelta datoriale, deve ritenersi una scelta imputabile a terzi, cioè al datore di lavoro, non volontaria e a cui deve conseguire il diritto alla percezione dell’indennità NASpi.

Inoltre, il Tribunale di Torino, argomentando che in tali casi la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro è sostanzialmente equiparabile alle dimissioni, non essendovi alcuna differenza concettuale tra la dichiarazione di volontà con cui il lavoratore pone unilateralmente termine al rapporto di lavoro e la dichiarazione di volontà che confluisce, unitamente ad analoga dichiarazione del datore di lavoro, nell’accordo oggetto di risoluzione consensuale, ritiene in definitiva ingiustificato il diverso trattamento che l’INPS riserva ad ipotesi del tutto analoghe.

Trattamento differenziato che, secondo il Tribunale, non trova neanche ragion d’essere nel tenore letterale della normativa di riferimento, con particolare riguardo al citato art. 3 del Dlgs 22/2015.

Nella pronuncia in commento, il Giudice del Lavoro di Torino afferma un principio potenzialmente estensibile a tutte le fattispecie analoghe, di fatto delegittimando in generale l’orientamento applicativo INPS, nella parte in cui si afferma che le dimissioni, in queste specifiche fattispecie, debbono ritenersi involontarie in quanto determinate da una condotta datoriale che ha reso “obbligata” la scelta del lavoratore, da cui consegue la ricorrenza del requisito della perdita involontaria dell’occupazione.

Gli avvocati dello Studio Dedoni restano a disposizione dei clienti dello studio per la soluzione di ogni questione giuridica connessa al trasferimento dei lavoratori.

Dopo aver conseguito la maturità classica, nel settembre 2022 si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Cagliari riportando la votazione di 110/110 e lode, con una tesi in diritto del
lavoro dal titolo “L’indebito retributivo nel pubblico impiego privatizzato”.

Nel corso degli studi ha approfondito le proprie conoscenze, in particolare, in materia di diritto del lavoro, pubblico e privato, e
in materia di previdenza sociale. Da novembre 2022 collabora con lo Studio Legale Dedoni, dove svolge la pratica forense.