Opponibilità della quietanza di pagamento simulata alla curatela fallimentare

Il curatore fallimentare può agire nei confronti dei debitori per ottenere

il pagamento del corrispettivo per la cessione di beni, anche laddove nel

contratto sia presente una quietanza di pagamento a saldo.

 

Il problema dell’opponibilità dell’atto di quietanza (simulata) al curatore fallimentare è oggetto di diverse e contrapposte posizioni nella giurisprudenza di legittimità della Cassazione.

In particolare, il dibattito giurisprudenziale si è mosso sulla posizione del curatore in seno al procedimento, ovvero se esso agisca in sostituzione del fallito o in una posizione di terzietà, quale rappresentante del fallito e contemporaneamente anche della massa dei creditori.

La distinzione non è di poco conto considerando il particolare regime probatorio previsto dal legislatore per far dichiarare la simulazione di un atto, laddove per la parte sussiste il divieto espresso di della prova testimoniale e della prova per presunzioni (potrà dunque provare la simulazione dell’atto solo con la “controdichiarazione scritta”, con la confessione o con il giuramento decisorio).

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Un primo orientamento, ritenuto dalla seconda sezione civile della Cassazione “univoco (e condivisibile)” afferma che il «curatore fallimentare del venditore, il quale agisca per la dichiarazione di simulazione della quietanza relativa all’avvenuto pagamento del prezzo di compravendita al fine di recuperare al fallimento detto prezzo, cumula, con la rappresentanza del fallito R.D. n. 267 del 1942, ex art. 43, anche la legittimazione che la legge attribuisce ai creditori del simulato alienante ai sensi dell’art. 1416 c.c., comma 2, con la conseguenza che, agendo egli come “terzo“, può fornire la prova della simulazione “senza limiti“, ai sensi del combinato disposto dell’art. 1417 c.c., e art. 1416 c.c., comma 2, e, quindi, sia a mezzo di testimoni, sia a mezzo di presunzioni (cfr., ex multis, Cass. n. 3824 del 1991Cass. n. 9835 del 1994 e Cass. n. 14481 del 2005).» Cass.Civ. Sez. II n.8949 del 17.4.2014.

Un secondo orientamento, ribadito sempre dalla seconda sezione civile della Cassazione, afferma che la «curatela fallimentare che ha proseguito il giudizio per il pagamento del residuo credito per il prezzo di una vendita stipulata dal fallito in bonis non può considerarsi terzo, in quanto agisce in rappresentanza del fallito e non della massa dei creditori. In tal senso si è espressa questa S.C.: “In tema di simulazione, il curatore del fallimento che agisca in rappresentanza del fallito (nella specie per ottenere il pagamento di un residuo suo credito derivante da un contratto di appalto concluso dall’imprenditore in bonis), e non della massa dei creditori, non può provare per testimoni la simulazione della quietanza di pagamento rilasciata dal primo alla controparte contrattuale (Cass. Sentenza n. 7263 del 22/03/2013Cass. Sez. 1, Sentenza n. 508 del 15/01/2003).»

La giurisprudenza di merito aderisce al primo orientamento nel senso che «il curatore che agisce in giudizio per ottenere la dichiarazione di simulazione della quietanza relativa all’avvenuto pagamento del prezzo di compravendita al fine di recuperare il valore al fallimento, cumula, con la rappresentanza del fallito, anche la legittimazione che la legge attribuisce ai creditori del simulato alienante con la conseguenza che, agendo egli come terzo, può fornire la prova della simulazione senza limiti ai sensi degli art.1416, comma 2, e 1417 c.c.» Tribunale Roma, sez. Fallimentare, n.14287 del 12.7.2012.

Si veda anche Tribunale Bari, sez. III, n.2478 del 28.5.2015, Tribunale Milano, sez.II, n.6900 del 20.5.2011 e Tribunale Pdova, n.2327 del 20.9.2005.

Si ritiene che indipendentemente dalla qualificazione della posizione del curatore fallimentare, il problema debba essere risolto più sul piano processuale che sul piano del diritto sostanziale.

La quietanza rilasciata dal creditore al debitore all’atto del pagamento, ha natura di confessione stragiudiziale su questo fatto estintivo dell’obbligazione secondo la previsione dell’art.2735 c.c., con la conseguenza di sollevare il debitore dal relativo onere probatorio, se e nei limiti in cui sia fatta valere nella controversia in cui siano parti, anche in senso processuale, gli stessi soggetti (autore e destinatario della quietanza di pagamento simulata).

Viceversa, nel giudizio promosso dal curatore del fallimento per ottenere l’adempimento dell’obbligazione deve negarsi che il debitore possa opporre la quietanza di pagamento quale confessione stragiudiziale, atteso che il curatore, pur ponendosi nell’esercizio di un diritto del fallito e sostituendosi eventualmente a quest’ultimo, è una parte processuale diversa dal fallito medesimo.

La quietanza di pagamento, in questi casi, è priva di effetti vincolanti ed assume soltanto il valore di un documento probatorio dell’avvenuto pagamento, apprezzabile dal giudice al pari di qualsiasi altra prova desumibile dal processo (Cass. 1 marzo 2005 n. 4288Cass. 16 settembre 2002 n. 13513, in Dir. fall., 2003, II, 355; Cass. 23 gennaio 1997 n. 689, in Fall. proc. conc., 1997, 719; Cass. 2 aprile 1996 n. 3055, in Dir. fall., 1996, II, 1035; Cass. 10 marzo 1994 n. 2339, in Fall. proc. conc., 1994, 718; Cass. 31 marzo 1988 n. 2716, in Arch. civ., 1988, 940; Cass. 28 gennaio 1986 n. 544, in questa Rivista, 1986, I, 1697).

Peraltro, in tema di valore probatorio della quietanza nei confronti della curatela fallimentare, si segnala Cass. Civile, sez.I, n.14481 del 9.7.2005 per cui «della quietanza al fallimento non può ricavarsi anche la certezza della effettività del pagamento quietanzato, giacché solo dalla certezza dell’avvenuto pagamento, mediante strumenti finanziari incontestabili (anche alla luce della legislazione antiriciclaggio, che impone cautele e formalità particolari ove vengano trasferiti valori superiori ad un certo importo), può trarsi la prova del pagamento del prezzo pattuito nell’atto di autonomia privata, idoneo al trasferimento del bene».

Tale soluzione appare preferibile laddove il curatore fallimentare, a differenza del fallito, non ha copia della c.d. “controdichiarazione scritta” da poter produrre eventualmente in giudizio, non avendo partecipato personalmente all’accordo simulato.

La partecipazione all’accordo simulato, dal punto di vista processuale, costituisce il motivo per il quale il legislatore ha voluto porre dei limiti alla prova della simulazione, limitandola di fatto alla sola produzione della c.d. “controdichiarazione”, considerata la residualità della confessione e del giuramento decisorio.

Tali limitazioni, dal punto di vista processuale non si estendono al curatore che, pur agendo (anche) nell’interesse del fallito, non ha partecipato all’accordo simulato e non ha la medesima posizione processuale.

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Avv. Marcello Ibba

mail: marcello.ibba@studiolegalededoni.it

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Nato a Cagliari il 14 novembre 1973, è iscritto all’Albo presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari dal 24 ottobre 2005 e collabora con lo Studio Legale Dedoni sin dal 2002.