Licenziamento del lavoratore che rifiuta di vaccinarsi contro il Covid-19

La responsabilità del datore di lavoro per il rischio di contagio

Il licenziamento del lavoratore che rifiuta di vaccinarsi contro il Covid-19 è un tema  ricorrente ormai da settimane tra gli avvocati del lavoro che si occupano di diritto del lavoro.

Responsabilità del datore di lavoro: garantire la salute dei suoi dipendenti

La questione che cercherò di esaminare lasciando da parte qualunque aspetto “politico”, attiene direttamente alla responsabilità del datore di lavoro ed a tutte quelle misure che è obbligato a porre in essere al fine di garantire la salute dei propri dipendenti.

L’obbligo di porre in essere dette  misure è posto dall’art.2087 c.c.:L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro ma anche dall’art.28 del Dlgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza del Lavoro) ed è un obbligo che si deve continuamente adeguare all’evoluzione della conoscenza medica e delle tecniche di prevenzione in materia di sicurezza del lavoro.

L’applicazione dell’art. 2087 c.c. e l’individuazione dell’esatto perimetro della responsabilità del datore di lavoro, si era già posto durante la prima fase della pandemia del Covid-19.

Di fronte ad una situazione come quella di una pandemia che costituiva uno scenario del tutto nuovo, ci si interrogava su quali fossero le attività di protezione che il datore di lavoro doveva porre in essere all’interno dei locali aziendali per prevenire il contagio ed adempiere correttamente all’obbligo imposto dall’art. 2087 c.c., sollevandosi così dalla possibile contestazione di avere causato un danno alla salute dei propri dipendenti.

Come si ricorderà si era arrivati alla sottoscrizione, in data 14 marzo 2020, tra il governo e le organizzazioni sindacali e le associazioni di categoria datoriali del “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” che indicava analiticamente una serie di attività che dovevano essere poste in essere dal datore di lavoro per preservare la salute dei lavoratori.

Il contenuto del protocollo, riadattato alle eventuali particolarità dell’ambiente di lavoro e delle indicazioni del medico competente, individuava con relativa certezza il perimetro della attività che il datore di lavoro era tenuto a porre in essere per tutelare la salute dei suoi dipendenti e prevenire il contagio.

Il porre in essere quelle attività che allora erano considerate dalla comunità scientifica internazionale come le più idonee a garantire la salute dei lavoratori, lo avrebbero messo al riparo da possibili contestazioni in caso di contagio dei suoi dipendenti. (si veda sul nostro sito l’articolo del 6 maggio 2020 “La responsabilità del Presidente della Cooperativa per il contagio del virus COVID-19 dei soci lavoratori e dei dipendenti nel luogo di lavoro”)

Tutela salute dipendenti: cosa cambia con il vaccino

Oggi, in presenza del vaccino, l’uso delle mascherine, il ripetuto lavaggio delle mani e in generale, tutte le misure finalizzate al distanziamento tra i lavoratori, non possono più dirsi ragionevolmente sufficienti e il perimetro delle attività richieste al datore di lavoro dall’art. 2086 c.c. per tutelare l’integrità fisica dei propri dipendenti, si è di nuovo ampliato e non è più quello del mese di marzo dello scorso anno 2020.

Si riapre dunque il tema della responsabilità del datore di lavoro, di quanto sia obbligato a fare per prevenire il pericolo del contagio e dunque se possa essere valutata la sua responsabilità per il caso di mancata vaccinazione dei suoi dipendenti.

La principale contestazione che si pone alla possibilità del datore di lavoro di imporre la vaccinazione al lavoratore e di sanzionare il suo rifiuto con il licenziamento, si fonda sulla riserva di legge imposta dall’art.32 della Costituzione che sancisce la libertà di ciascuno di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario e quindi anche la vaccinazione, salvo quello per il quale la legge istituisca un obbligo.

Il quesito si sposta dall’ambito prettamente giuslavoristico a quello, più ampio, dei diritti assoluti della persona e cioè se sia possibile imporre, seppure indirettamente con la minaccia del licenziamento, ad una determinata categoria di persone, per effettuo di essere parte di contratto di lavoro subordinato, di sottoporsi ad un trattamento sanitario non obbligatorio per legge, senza violare la norma dell’art.32 della Costituzione.

Coloro che ritengono che la risposta sia affermativa, sostengono che sia un errore ritenere che i diritti assoluti della persona, in quanto tali, siano sempre sottratti alla libertà negoziale ed anzi per la maggior parte di tali diritti ciascuno può liberamente compiere atti di disposizione.

Si pensi ad esempio il diritto alla riservatezza, nella sua accezione più ampia, che può essere liberamente compresso da ciascuno nell’ambito di un rapporto di lavoro in adempimento a precisi obblighi contrattuali.

Così nessuno ha nulla da lamentare quando rinuncia alla sua libertà di movimento durante l’orario di lavoro, quando si sottopone ad una visita di controllo in caso di malattia oppure ad indagini sui propri orientamenti professionali quando sostiene un colloquio di lavoro.

L’argomentazione appena indicata ha senz’altro fondamento giuridico e risolve ogni problema quando il lavoratore presti il suo consenso alla vaccinazione, non ci da invece nessuna risposta per il caso in cui il lavoratore opponga il rifiuto alla vaccinazione e cioè non intenda in nessun modo comprimere il suo diritto né può sostenersi in maniera credibile che tra i doveri del lavoratore possa essere ricompreso anche quello ad un trattamento sanitario che non sia previsto come obbligatorio dalla legge.

Licenziamento del lavoratore che rifiuta di vaccinarsi contro il Covid-19: è lecito?

E’ questa la ragione per la quale, allo stato ed in mancanza di qualsiasi giurisprudenza sul punto, non ritengo di poter consigliare a nessun datore di lavoro di procedere ad un licenziamento per giusta causa in caso di rifiuto da parte del lavoratore alla vaccinazione.

Resta aperto dunque il tema che ci siamo posti in apertura: quali sono le attività che il datore di lavoro ha il dovere di compiere e può legittimamente porre in essere per tutelare la salute dei propri lavoratori qualora uno o più di essi si rifiutino di sottoporsi alla vaccinazione?

Ritornando alla materia giuslavoristica sembra più opportuno valutare, per ciascun caso, la esistenza di una sopravvenuta temporanea inidoneità specifica alla mansione, previo giudizio del medico competente.

In tal caso dunque, in applicazione dell’art. 42 del Testo Unico sulla sicurezza del lavoro, il datore di lavoro dovrà, nel rispetto delle prescrizioni del medico competente che ha dichiarato il lavoratore non vaccinato possibile veicolo di contagio per gli altri dipendenti, adibire il lavoratore, ove possibile, ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute, equivalente ma, in mancanza, anche di rango inferiore, assicurandogli in ogni caso la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte.

Il lavoratore deve dunque essere adibito ad altra mansione, ove possibile, ricomprendendo in tale possibilità anche l’utilizzo di particolari modalità di esecuzione della prestazione lavorativa tra le quali lo smart working che attualmente è riconosciuto come un diritto ai lavoratori fragili, fino alla data di cessazione dello stato di emergenza epidemiologica, secondo le modalità previste dall’art. 1, comma 481, della legge di Bilancio 2021 (L. 30 dicembre 2020, n. 178).

Solo nel caso in cui ci si trovi davanti alla impossibilità di un utile reimpiego si può valutare la possibilità di sospendere il rapporto di lavoro e, conseguentemente, di sospendere anche la corresponsione della retribuzione.

Consiglierei peraltro di inviare una preventiva comunicazione al lavoratore nel quale si motiverà adeguatamente detta sospensione, rinviando la decisione di un eventuale licenziamento che peraltro non sarebbe più sorretto da giusta causa ma dal giustificato motivo soggettivo, ad un successivo momento e cioè quando, anche a causa del tempo trascorso, venga del tutto a mancare un apprezzabile interesse da parte del datore di lavoro a ricevere le prestazioni del lavoratore.

Anche considerando il fatto che ad oggi e fino al 31 marzo 2021, vige il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, appare opportuno lasciare trascorrere un lasso di tempo apprezzabile tra la sospensione ed il licenziamento, anche perché la impossibilità sopravvenuta specifica alla mansione è temporanea e non assolta ed il suo perdurare è legato non solo alla organizzazione aziendale ma anche alla evoluzione della pandemia ed ai rimedi che la comunità scientifica internazionale sarà in grado di approntare.

Tutela della salute dei dipendenti: presenza di persone terze

Sempre sul tema della responsabilità del datore di lavoro e sulle attività che è tenuto a porre in esser per tutelare la salute dei propri dipendenti, un diverso e forse più complicato scenario si apre per il caso di  luoghi di lavoro contraddistinti dalla presenza di persone terze diverse dai lavoratori: è nella cronaca giornaliera il caso degli ospiti di una casa di riposo.

Detta presenza impone al datore di lavoro di condurre un’adeguata valutazione del rischio conseguente per i propri lavoratori e di individuare le misure di prevenzione e di protezione contro tale rischio e pertanto non solo la vaccinazione degli stessi lavoratori, ma altresì la segnalazione dell’esigenza di attivare la vaccinazione delle persone non riconducibili nell’ambito dei lavoratori, ma presenti nei luoghi di lavoro e magari da assistere.

Non diversamente a norma dell’art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro che affidi a un’impresa appaltatrice o a un lavoratore autonomo l’esecuzione di un lavoro o di un servizio o di una fornitura nel proprio ambito aziendale, è tenuto, non certo a sottoporre i dipendenti dell’impresa appaltatrice o il lavoratore autonomo a sorveglianza sanitaria e segnatamente a vaccinazione, ma ad attivare e porre in essere tutte le misure contro i rischi da interferenze ed a vigilare sull’effettiva osservanza di tali misure da parte dell’impresa appaltatrice o del lavoratore autonomo.

Gli avvocati dello Studio Legale Dedoni sono a disposizione dei propri clienti per l’approfondimento di ogni singolo caso e l’analisi del licenziamento del lavoratori che rifiuta di vaccinarsi contro il Covid-19.

Avv. Andrea Dedoni  mail: andrea@studiolegalededoni.it

L’Avvocato Andrea Dedoni, è nato a Carbonia il 30 Settembre 1964 ed è iscritto all’albo degli Avvocati della provincia di Cagliari dal 1997.
E’ il titolare dello studio legale Dedoni , coordina, organizza e supervisiona il lavoro di tutti i collaboratori dello studio .

Le competenze dell’Avvocato Dedoni sono il Diritto del Lavoro, il Diritto Civile ed il Diritto Fallimentare. Vanta un’esperienza trentennale nella gestione dei rapporti di lavoro e nel contenzioso nel lavoro: è socio dell’Associazione Giuslavoristi Italiani e dell’Associazione Giuslavoristi Sardi.