La responsabilità del Presidente della Cooperativa per il contagio del virus COVID-19 dei soci lavoratori e dei dipendenti nel luogo di lavoro

Il Presidente di una importante Cooperativa della Sardegna operante nel settore dell’autotrasporto, Fulgenzio Cocco, ci ha rappresentato una preoccupazione ricorrente per i Presidenti delle Cooperative, in riferimento ai vari profili di responsabilità ai quali il datore di lavoro potrebbe essere esposto per il caso di contagio dei soci lavoratori e dei dipendenti nel luogo di lavoro.

Detta questione diventa ancor più attuale in coincidenza alla ripresa dell’attività lavorativa e alle nuove modalità di esecuzione del lavoro che sono imposte dall’esigenza di evitare il contagio nei luoghi di lavoro.

Proviamo pertanto a chiarire il profilo della eventuale responsabilità sia civile che penale del Presidente della Cooperativa, datore di lavoro, in caso di contagio da virus covid-19 di un socio lavoratore o di un proprio dipendente in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa.

L’art. 42, comma 2, del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 “Decreto Cura Italia” ha ricompreso nella copertura INAIL i casi dei lavoratori assicurati che contraggono l’infezione da coronavirus “in occasione di lavoro” e l’INAIL, nella circolare n. 13 del 3 aprile 2020, ha precisato che le malattie infettive e parassitarie sono pacificamente inquadrate nella categoria degli infortuni sul lavoro, nei quali devono essere pertanto fatti rientrare anche i casi di infezione da coronavirus.

Le misure di tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro trovano la loro fonte civilistica nell’art. 2087 Cod. Civ. “Tutela delle condizioni di lavoro”, che impone al datore di lavoro di “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”: proprio su questo principio generale di protezione, si impronta il D. Lgs. 9 aprile 2008, n.81 “Testo Unico sulla tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di Lavoro”, l’art. 271 del quale prevede espressamente l’obbligo del datore di lavoro di valutare il rischio biologico.

Fermi restando gli obblighi previsti per il datore di lavoro dal Testo Unico sulla tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, è necessario fare riferimento alla normativa di tipo emergenziale che ha disciplinato le misure ad hoc necessarie per il contenimento del contagio da COVID-19 relativamente allo svolgimento del lavoro all’interno delle aziende.

Si tratta di una normativa non di facile lettura a causa dei provvedimenti che si sono succeduti a brevissima distanza di tempo.

Il DPCM dell’11 marzo 2020 ha previsto una serie di misure restrittive per la prosecuzione di quelle attività, non interessate dalla sospensione, per le quali non sia configurabile l’attuazione della modalità di lavoro “agile” dal domicilio o comunque a distanza.

Tali misure restrittive, prorogate dagli altri provvedimenti governativi successivi, hanno riguardato in particolare la sospensione dei reparti non indispensabili alla produzione, l’assunzione di protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non sia possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento del contagio, la adozione di strumenti di protezione individuale, la sanificazione dei luoghi di lavoro e il contingentamento degli accessi agli spazi comuni.

Le disposizioni contenute nel DPCM dell’11 marzo 2020, che favorisce espressamente intese tra organizzazioni datoriali e sindacali e l’esigenza primaria di tutela della salute dei lavoratori, ha portato alla sottoscrizione, in data 14 marzo 2020, tra il governo e le organizzazioni sindacali e le associazioni di categoria, tra le quali anche le Associazioni di Cooperative facenti parte della Alleanza delle Cooperative, del “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” dai sindacati e associazioni di categoria.

Il protocollo, aggiornato nella successiva data del 24 aprile 2020, che si pubblica nel suo testo integrale unitamente al presente articolo, contiene un piano di azione, articolato in 13 punti, che contiene linee guida per agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio e fornisce indicazioni operative finalizzate a incrementare, negli ambienti di lavoro non sanitari, l’efficacia delle misure di contenimento del contagio.

Il DPCM del 26 aprile 2020, che ha stabilito un graduale allentamento delle misure restrittive con una limitata riapertura delle attività produttive, prevede un espresso riferimento all’art. 2, comma 6, alle imprese le cui attività non sono sospese di rispettare “i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali”.

Il sintetico riassunto delle norme sopra indicate ci porta alla prima conclusione:

I legali rappresentanti delle Cooperative, nella loro qualità di datori di lavoro, sono esposti ad un potenziale profilo di responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligo generale di cui all’art. 2087 c.c. ed al conseguente risarcimento del danno, in caso di contagio da coronavirus di un socio lavoratore ovvero di un dipendente, solo qualora non intraprendano, nel luogo di lavoro, tutte le attività indicate nel protocollo del 24 aprile 2020, ovvero e più in generale, tutte quelle necessarie misure atte ad eliminare il rischio del contagio.

In linea generale quindi il legale rappresentante della Cooperativa, datore di lavoro, in grado di dimostrare che ha posto in essere nella sua azienda tutti i dettami relativi alla norme sulla sicurezza per la salute sul luogo di lavoro, ivi compresi quelli specifici inerenti il “Protocollo condiviso” del 24 aprile 2020 è esente da responsabilità civile anche in caso di contagio del socio lavoratore ovvero di un dipendente, perché in quel caso l’eventuale contagio da coronavirus non è causato da un suo inadempimento contrattuale nello svolgimento dell’attività lavorativa che è oggetto del contratto di lavoro subordinato.

E’ evidente che per il caso in cui, in relazione a quelle mansioni che prevedano il loro svolgimento al di fuori dei confini dell’azienda produttiva, si pensi ad esempio alle cooperative di autotrasportatori ovvero a tutte le lavorazioni che debbano essere eseguite presso gli stabilimenti delle committenti, il datore di lavoro non potrà essere considerato direttamente responsabile dell’attività di rispetto delle norme sulla sicurezza del lavoro dei datori di lavoro soggetti terzi.

Un ultimo profilo da considerare in relazione ai casi di contagio da coronavirus in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa è quello inerente la responsabilità penale del datore di lavoro.

Ferme restando le fattispecie penali espressamente previste dal Testo Unico sulla tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, ivi comprese quelle inerenti le omissioni e/o irregolarità del DVR, nei casi in cui l’inosservanza delle misure antinfortunistiche ed ivi comprese quelle specifiche contenute nel Protocollo condiviso, sia stata causa di contagio da coronavirus, il datore di lavoro resta ipoteticamente esposto ad una responsabilità per i reati di lesioni personali gravi o gravissime ai sensi dell’art. 590 c.p., salvo ipotesi di malattia lieve, guaribile in meno di 40 giorni, nel qual caso scatterebbe anche la procedibilità a querela, ovvero di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p. qualora al contagio sia seguita la morte.

Anche in tal caso dunque la responsabilità consegue ad una condotta omissiva del datore di lavoro che per andare esente da responsabilità deve applicare all’interno della propria azienda, tutte quelle misure atte a prevenire il contagio di cui si è detto.

In conclusione è possibile affermare che, applicati correttamente all’interno dell’azienda i protocolli di sicurezza anti contagio citati e approntate tutte le misure atte a verificare la adesione da parte dei soci lavoratori e dei dipendenti della Cooperativa, nessuna responsabilità potrà esser ascritta al legale rappresentante della Cooperativa.  

 

Gli avvocati dello studio Dedoni sono a disposizione per offrire consulenza e supporto delle Cooperative, nelle materie della sicurezza del lavoro e della gestione dei rapporti di lavoro.

Avv. Andrea Dedoni  mail: andrea@studiolegalededoni.it

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L’Avvocato Andrea Dedoni, è nato a Carbonia il 30 Settembre 1964 ed è iscritto all’albo degli Avvocati della provincia di Cagliari dal 1997.
E’ il titolare dello studio legale Dedoni , coordina, organizza e supervisiona il lavoro di tutti i collaboratori dello studio .

Le competenze dell’Avvocato Dedoni sono il Diritto del Lavoro, il Diritto Civile ed il Diritto Fallimentare. Vanta un’esperienza trentennale nella gestione dei rapporti di lavoro e nel contenzioso nel lavoro: è socio dell’Associazione Giuslavoristi Italiani e dell’Associazione Giuslavoristi Sardi.