Il socio Amministratore che svolge attività di lavoro subordinato. Problema risolto?

Con la sentenza n. 36362 del 23 novembre 2021 la Corte di Cassazione ha ribadito i principi giurisprudenziali di legittimità, che appaiono sempre più consolidati, con riferimento alla possibilità del socio amministratore di svolgere attività di lavoro subordinato.

Il socio Amministratore che svolge attività di lavoro subordinato

Il dibattito giurisprudenziale

La compatibilità della titolarità di cariche sociali e lo svolgimento di attività di lavoro subordinato per la stessa società è una tematica che vede da tempo contrapporsi una interpretazione restrittiva ed una meno rigida.

La tesi più restrittiva ritiene sussistente un’incompatibilità assoluta tra la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali e la carica di presidente del consiglio di amministrazione o di amministratore unico, in quanto il cumulo nella stessa persona dei poteri di rappresentanza dell’ente sociale, di direzione, di controllo e di disciplina renderebbe impossibile quella diversificazione delle parti del rapporto di lavoro e delle relative distinte attribuzioni che si ritiene necessaria affinché siano riscontrabili gli elementi propri della subordinazione.

Questo orientamento è senz’altro da condividersi per la figura dell’amministratore unico, soggetto a cui è rimessa l’intera ed esclusiva amministrazione della società e che “non prende direttive di lavoro da nessuno” ma deve invece essere valutata da una diversa angolazione per la carica di presidente di un organo di amministrazione plurisoggettivo.

A tale proposito un differente e consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che le due posizioni possano convivere, a condizione che colui che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato fornisca la prova del vincolo di subordinazione.

Tale principio è stato ribadito nel messaggio Inps n. 3359/2019, ove l’Istituto riconosce la compatibilità tra la posizione di presidente di società di capitali e l’attività di lavoro subordinato qualora il potere deliberativo sia affidato ad un organo collegiale e venga fornita la prova rigorosa del vincolo di subordinazione con particolare riferimento allo svolgimento da parte del presidente del CDA di mansioni estranee al rapporto organico.

Il socio Amministratore che svolge attività di lavoro subordinato

Il caso delle Società Cooperative 

Questa possibile convivenza trova frequente applicazione nell’ambito delle società cooperative con riferimento al lavoratore subordinato che assume la carica di presidente purché il potere deliberativo, diretto a formare la volontà della Cooperativa, sia affidato ad un organo diverso dal Presidente e quest’ultimo svolga in concreto, quale lavoratore dipendente, mansioni estranee al rapporto organico con la cooperativa.

Pertanto non esiste un’assoluta incompatibilità tra la carica di presidente del consiglio di amministrazione di una società cooperativa con quella di lavoratore subordinato ma, in caso di accertamento ispettivo, è necessaria la puntuale dimostrazione della distinzione sia formale che sostanziale tra le due posizioni e cioè è necessario fornire la prova della sussistenza del vincolo di subordinazione e dell’assoggettamento del Presidente del CDA al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della Società. Si veda in proposito il messaggio INPS n.12441/2011.

Il socio Amministratore che svolge attività di lavoro subordinato

Il caso concreto

La Cassazione ha deciso in merito ad un ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza con cui la Commissione tributaria regionale della Sardegna, in accoglimento dell’appello proposto dalla società contribuente, annullava uno dei rilievi dell’avviso di accertamento ritenendo inerenti e deducibili i compensi da lavoro subordinato corrisposti dalla società ai propri soci amministratori.

Ha affermato che in linea di principio è compatibile la posizione di socio amministratore di società di capitali con quella di lavoratore subordinato ma tale compatibilità deve essere esclusa nei casi di amministratore unico, presidente del Consiglio di Amministrazione o socio “sovrano” e cioè in quei casi nei quali non sia possibile dimostrare l’esistenza delle direttive da parte del datore di lavoro nei confronti del prestatore di lavoro, finendosi per confondersi nello stesso soggetto le due figure del datore di lavoro e quella del lavoratore subordinato.

Sulla base di tale principio è stato affermato che la qualità di socio ed amministratore di una società di capitali composta da due soli soci, entrambi amministratori, è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, anche a livello dirigenziale, qualora il vincolo della subordinazione risulti da un concreto assoggettamento del socio alle direttive ed al controllo dell’organo collegiale amministrativo formato dai medesimi due soci.

In mancanza di tale assoggettamento, i consueti “indici di subordinazione” quali l’osservanza di un determinato orario di lavoro e la percezione di una regolare retribuzione, non sono da soli sufficienti a rendere possibile la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Nel caso di specie uno dei soci rivestiva la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione, mentre l’altro era membro dello stesso Consiglio di amministrazione e godeva di autonomia decisionale.

Quanto al Presidente del Consiglio di Amministrazione, la Corte ha stabilito che sussiste “assoluta incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali e la carica di presidenza del consiglio di amministrazione o di amministratore unico della stessa, in quanto il cumulo nella stessa persona dei poteri di rappresentanza dell’ente sociale, di direzione, di controllo e di disciplina rende impossibile quella diversificazione delle parti del rapporto di lavoro e delle relative distinte attribuzioni che è necessaria perché sia riscontrabile l’essenziale ed indefettibile elemento della subordinazione, con conseguente indeducibilità dal reddito della società del relativo costo da lavoro dipendente”.

Quanto invece al membro del Consiglio di Amministrazione, la Corte ha chiarito che la compatibilità della qualità di socio amministratore, membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali, con quella di lavoratore subordinato, non deve essere verificata solo in via formale, con riferimento esclusivo allo statuto e alle delibere societarie, occorrendo invece “accertare in concreto la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione gerarchica, del potere direttivo e di quello disciplinare e, in particolare, lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita”.

Il socio Amministratore che svolge attività di lavoro subordinato

Il principio di diritto

Nel cassare la Sentenza, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sardegna, la Cassazione ha dettato il seguente principio di diritto: “In tema di imposte sui redditi sussiste l’assoluta incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali e la carica di presidenza del consiglio di amministrazione o di amministratore unico della stessa, in quanto il cumulo nella stessa persona dei poteri di rappresentanza dell’ente sociale, di direzione, di controllo e di disciplina rende impossibile quella diversificazione delle parti del rapporto di lavoro e delle relative distinte attribuzioni che è necessaria perché sia riscontrabile l’essenziale ed indefettibile elemento della subordinazione, con conseguente indeducibilità dal reddito della società del relativo costo da lavoro dipendente. La compatibilità della qualità di socio amministratore, membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali, con quella di lavoratore dipendente della stessa società, ai fini della deducibilità del relativo costo dal reddito di impresa, non deve essere verificata solo in via formale, con riferimento esclusivo allo statuto e alle delibere societarie, occorrendo invece accertare in concreto la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione gerarchica, del potere direttivo e di quello disciplinare e, in particolare, lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita“.

Gli avvocati dello Studio Legale Dedoni sono a disposizione per la soluzione di ogni caso concreto.

Avv. Andrea Dedoni  mail: andrea@studiolegalededoni.it

L’Avvocato Andrea Dedoni, è nato a Carbonia il 30 Settembre 1964 ed è iscritto all’albo degli Avvocati della provincia di Cagliari dal 1997.
E’ il titolare dello studio legale Dedoni , coordina, organizza e supervisiona il lavoro di tutti i collaboratori dello studio .

Le competenze dell’Avvocato Dedoni sono il Diritto del Lavoro, il Diritto Civile ed il Diritto Fallimentare. Vanta un’esperienza trentennale nella gestione dei rapporti di lavoro e nel contenzioso nel lavoro: è socio dell’Associazione Giuslavoristi Italiani e dell’Associazione Giuslavoristi Sardi.