Reintegrazione nel posto di lavoro: la mancata preventiva contestazione disciplinare dell’addebito comporta l’annullamento del licenziamento e la reintegrazione del lavoratore

In caso di licenziamento, l’assenza di previa contestazione dell’addebito disciplinare impone di ritenere insussistente il fatto contestato, con conseguente applicazione della sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro di cui all’art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 23/2015.

Questo il principio sancito dalla Corte d’Appello di Firenze, Sezione Lavoro, con la recente sentenza n.206/22, pubblicata in data 13 aprile 2022 che si inserisce in un solco di pronunce giurisprudenziali che hanno esteso anche ai rapporti di lavoro soggetti al D.Lgs n. 23/2015 l’analogo principio, affermato in relazione ai rapporti cui si applichi l’art. 18 della Legge n. 300/70, secondo il quale l’illegittimità del licenziamento per “l’insussistenza del fatto materiale contestato” non debba essere considerata solamente quale mancata verificazione materiale dello stesso, ma anche quale insussistenza di rilievo disciplinare del fatto, seppure materialmente accaduto.

 

Reintegrazione nel posto di lavoro nelle imprese con più di 15 dipendenti.

Il caso concreto

Lo Studio ha difeso davanti alla Corte d’Appello di Firenze, Sezione Lavoro, una cliente, la quale era stata licenziata per giusta causa senza preventiva contestazione disciplinare, nell’impugnazione della sentenza di primo grado del Tribunale di Arezzo, Sezione Lavoro, che aveva annullato il licenziamento ma senza reintegrare nel posto di lavoro la lavoratrice.

In particolare il Giudice di primo grado, pur ritenendo illegittimo il licenziamento per insussistenza della giusta causa, aveva erroneamente ritenuto che l’onere della prova circa la sussistenza del requisito dimensionale di più di quindici dipendenti gravasse sulla lavoratrice, anziché sul datore di lavoro, e, sulla base di tale assunto, non si era pronunciato sul motivo di ricorso inerente l’insussistenza del fatto materiale del fatto contestato la lavoratrice  e sulla richiesta di reintegrazione, previste dall’art. 3, comma 2, del D.Lgs n. 23/15 dato che tale tutela reintegratoria, ai sensi dell’art. 9 D.Lgs. n. 23/15, non si applica ai datori di lavoro che hanno alle loro dipendenze fino a quindici lavoratori.

 

Reintegrazione nel posto di lavoro.

La decisione della Corte d’appello di Firenze, Sezione Lavoro

La Corte d’Appello ha evidenziato, preliminarmente, l’errore del Giudice di primo grado in tema di riparto dell’onere probatorio nei giudizi di impugnazione di licenziamento in relazione alla sussistenza del requisito dimensionale del datore di lavoro per l’applicazione della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro in caso di annullamento del licenziamento.

Ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale ormai immutato che pone l’onere della prova del requisito dimensionale del limite dei quindici dipendenti in capo al datore di lavoro e non al lavoratore.

Sulla base di tale presupposto la Corte d’Appello ha analizzato la fondatezza del motivo di appello avente ad oggetto l’illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto materiale del fatto contestato per assenza di rilievo disciplinare dello stesso conseguente alla mancata preventiva contestazione disciplinare dell’addebito nei confronti della lavoratrice.

La Corte d’Appello sul punto ha richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (si veda Cass. Civ., Sez. Lav. n. 12174/19)secondo il quale “ai fini della pronuncia di cui all’art. 3, comma 2, D.Lgs n. 23 del 2015, la insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto i casi in cui il fatto si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare”.

La Corte d’Appello ha compiuto un ulteriore passaggio logico riconducendo l’ipotesi del licenziamento disciplinare adottato senza alcuna contestazione di addebiti nell’alveo applicativo dell’ipotesi dell’insussistenza del fatto materiale contestato proprio perché in assenza di preventiva contestazione il fatto non ha alcun rilievo disciplinare.

La Corte d’Appello, infatti, ha richiamato una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. Lav., n. 4879/20) in materia di illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto contestato prevista dall’art. 18, comma 4, Legge n. 300/70, applicabile ai rapporti di lavoro ante Jobs Act, ritenendola estensibile anche all’ipotesi di illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto materiale contestato di cui all’art. 3, comma 2, D.Lgs n. 23/15 proprio perché entrambe le ipotesi si basano sul presupposto dell’insussistenza del fatto “contestato” e non semplicemente addebitato e, in assenza di preventiva contestazione disciplinare, non esiste alcun fatto contestato che possa in alcun modo ritenersi sussistente, non essendo peraltro ipotizzabile, in ambito di licenziamento disciplinare, che il Giudice possa indagare sulla gravità di un fatto mai contestato.

In applicazione di tali principi la Corte d’Appello in accoglimento dell’appello proposto e in riforma della sentenza impugnata ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento e condannato il datore di lavoro ex art. 3, comma 2, D.Lgs n. 23/15 alla reintegrazione della lavoratrice oltre che al pagamento dell’indennità risarcitoria.

Gli avvocati dello Studio Dedoni sono a disposizione per ogni caso concreto.

    Avv. Alessio Scamonatti  mail: alessio.scamonatti@studiolegalededoni.it

    L’Avv. Scamonatti, fin dallo svolgimento della pratica forense, ha maturato le sue competenze professionali nel campo del diritto civile, curandone costantemente l’aggiornamento in relazione ai mutamenti legislativi e giurisprudenziali attraverso la partecipazione a specifici corsi di formazione.