Sentenza n. 26/2019 della Corte d’Appello di Torino, Sezione del Lavoro: la nuova figura della collaborazione etero-organizzata ex art. 2 d.lgs. n. 81/2015.

Nell’ambito della vicenda giudiziaria della qualificazione del rapporto di lavoro in essere tra i cosiddetti “riders” e una nota azienda internazionale di delivery, si inserisce la Sentenza n. 26/2019 della Corte d’Appello di Torino, Sezione Lavoro. I Giudice della Corte Torinese hanno ritenuto che l’art. 2 d.lgs. n. 81/2015 abbia introdotto, con decorrenza dal 1 gennaio 2016, una nuova tipologia di rapporto lavorativo, che andrebbe ad affiancarsi alle due grandi aree tipizzate dal legislatore, ovvero il lavoro subordinato ex art. 2094 c.c. e s.s. e il lavoro parasubordinato ex art. 409 e s.s. c.p.c. (recte tre grandi aree se si considera anche il lavoro autonomo ex art. 2222 c.c.).

Secondo la Corte d’Appello, la differenza tra il rapporto di lavoro subordinato e quello etero diretto ex art. 2, d.lgs. n. 81/2015 è sostanzialmente ravvisabile nella facoltà o meno, in capo al datore di lavoro/committente, di esercitare il potere gerarchico/disciplinare. Mentre nel lavoro subordinato, il datore di lavoro può legittimamente sanzionare l’inadempimento del lavoratore, nelle collaborazioni etero organizzate questo potere è assente. Semplicemente, il committente decide modalità e tempi dell’esecuzione della prestazione, senza che il lavoratore possa apportare alcun elemento di autonomia. Le due fattispecie, lavoro subordinato e lavoro etero organizzato si differenziano dal lavoro parasubordinato perché, in quest’ultimo caso, le parti stabiliscono ab origine in quale segmento funzionale dell’organizzazione produttiva deve inserirsi la prestazione del collaboratore, lasciando a quest’ultimo la piena autonomia sulle modalità e sui tempi organizzativi.

La ricostruzione operata dalla Corte d’Appello presenta diverse criticità, soprattutto con riferimento alla radicale portata innovativa riconosciuta all’art. 2 d.lgs. n. 81/2015. Si ritiene, in particolare, che l’art. 2 d.lgs. n. 81/2015 debba essere letto necessariamente in combinato disposto con l’art. 52 del d.lgs. n. 81/2015 che espressamente sancisce l’abrogazione delle norme di cui al d.lgs. n. 276/2003 in materia di contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto e che fa salva unicamente la figura delle collaborazioni coordinata e continuative di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c. Allo scopo, al fine di semplificare e riordinare la materia, il legislatore del 2015 ha deciso, con decorrenza dal 1 gennaio 2016, di dare una disciplina unitaria della materia, eliminando il requisito del progetto o programma, che tante problematiche e rimaneggiamenti normativi aveva prodotto dal 2003 e fino all’intervento di cui alla Legge n. 92/2012. Che questa sia la ricostruzione più corretta, trova conferma anche nella formulazione dell’art. 2, c. 2 d.lgs. n. 81/2015, il quale richiama le esclusioni dall’applicazione dalla presunzione di subordinazione già tipizzate dalla L. n. 92/2012. Non solo, anche il richiamo all’istituto della certificazione ex art. 75 e s.s. d.lgs. n. 276/2003 fa propendere per la volontà di risistemare la materia nell’ottica di una generale semplificazione. Ulteriore elemento a sostegno della ricostruzione può essere individuato nella previsione di cui al comma 4 dello stesso art. 2 d.lgs. n. 81/2015, nella parte in cui espressamente prevede che le norme di cui al comma 1 (l’applicazione delle norme tipiche della subordinazione alla collaborazione) non si applicano alle collaborazioni instaurate con le pubbliche amministrazioni. Il senso di quest’ultima norma è proprio quello di evitare che le collaborazioni coordinate caratterizzate dalla eterodirezione con la Pubblica Amministrazione non diano adito a trasformazioni in rapporti di lavoro subordinato, atteso il divieto di cui all’art. 97 Cost. e all’art. 36 d.lgs. n. 165/2001. Accedendo alla ricostruzione della Corte d’Appello di Torino, la norma perderebbe di senso, perché il mantenimento della formale natura di collaborazione coordinata autonoma non darebbe ingresso a fattispecie di conversione in lavoro subordinato con la Pubblica Amministrazione, ma semplicemente alla regolamentazione come tale del rapporto di lavoro. Certamente, la formulazione usata dal legislatore il quale parla di applicazione della disciplina del rapporto subordinato è forse infelice perché avrebbe potuto e dovuto fare riferimento altri istituti come la conversione o la trasformazione, così come accadeva nella vigenza del d.lgs. n. 276/2003. Accanto a questi rilievi, e senza voler indugiare sull’ulteriore problematica della natura preponderante del potere disciplinare rispetto agli altri elementi tipici della subordinazione, deve osservarsi come risulta difficilmente conciliabile il mantenimento della natura autonoma di tali collaborazioni con l’applicazione delle norme della subordinazione. Non solo, se a tali collaborazioni etero organizzate si applica la disciplina normativa del lavoro subordinato, in tutti i suoi aspetti, non si vede perché la Corte d’Appello abbia affermato che “sui licenziamenti, la domanda deve essere respinta posto che non vi è riconoscimento della subordinazione”. La motivazione è difficilmente comprensibile posto che il licenziamento a la tutela ad esso riconosciuta è tipica del rapporto di lavoro subordinato, la cui normativa deve essere interamente applicata anche alle collaborazioni ex art. 2 d.lgs. n. 81/2015. Rimarrebbe dunque una disciplina evidentemente monca in termine di risoluzione del contratto, a meno che non si voglia mutuare la disciplina di diritto comune prevista per il recesso anticipato per i rapporti di lavoro a termine, ma questo la Corte d’Appello non lo dice. Si rischia, in buona sostanza, che tale “nuova fattispecie di rapporto di lavoro” possa diventare terreno di una farraginosa e complicata serie di interventi giurisprudenziali per la ricostruzione delle regole che caratterizzano l’istituto. In ogni caso, ci si riserva di affrontare nuovamente la questione a seguito di nuovi approfondimenti affidati alla Giurisprudenza, anche di legittimità, in considerazione della novità della questione.

Sentenza n. 26/2019 della Corte d’Appello di Torino, Sezione Lavoro

Avv. Ivano Veroni

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L’avvocato Ivano Veroni collabora con lo studio Dedoni dall’anno 2011.
Durante l’esercizio della professione, l’Avvocato Veroni ha maturato specifiche competenze nel settore del Diritto del Lavoro e nel Diritto Civile, con particolare attenzione alla materia condominiale.