Indennità di disoccupazione percepita in buona fede ma non dovuta Deve essere restituita?

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 8 del 27.01.2023, si pronuncia sull’annoso problema circa la legittimità costituzionale della disposizione normativa che prevede l’incondizionata ripetibilità delle somme indebitamente percepite a titolo di prestazioni previdenziali di natura non pensionistica.

Indennità di disoccupazione percepita in buona fede ma non dovuta

La questione di legittimità costituzionale sottoposta al vaglio della Consulta.

La questione esaminata dalla Corte Costituzionale riguarda la legittimità costituzionale dell’art. 2033 c.c. il quale, in materia di indebito oggettivo, prescrive che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”.

Secondo la prospettazione del Tribunale di Lecce, che ha rimesso la questione alla Consulta, qualora tale disposizione venisse applicata agli indebiti concernenti le prestazioni previdenziali di natura non pensionistica (nel caso di specie indennità di disoccupazione), imponendo al percipiente di restituire quanto indebitamente erogato dall’ente previdenziale, violerebbe il dettato costituzionalenella parte in cui non prevede l’irripetibilità dell’indebito previdenziale non pensionistico laddove le somme siano state percepite in buona fede e la condotta dell’ente erogatore abbia ingenerato legittimo affidamento del percettore circa la spettanza della somma percepita”.

Il legittimo affidamento: il caso concreto

Il caso sottoposto al Tribunale leccese, da cui trae origine il dubbio circa la legittimità costituzionale della disposizione, riguardava un soggetto che aveva percepito maggiori somme sull’indennità di disoccupazione riconosciutagli nell’anno 2004-2005, di cui l’INPS aveva richiesto la restituzione nell’anno 2013.

Il Tribunale di Lecce ha ritenuto che, l’applicazione incondizionata della disposizione dell’art. 2033 c.c., contrasterebbe con il parametro interposto di cui all’art. 117, co. 1 Cost. che impone a Stato e Regioni di esercitare la potestà normativa nel rispetto, oltreché della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

La violazione, secondo la prospettazione della Corte rimettente, deriverebbe dal fatto che l’art. 2033 c.c. non è conforme a quanto prescritto dall’art. 1 del Protocollo addizionale CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Umo e delle Libertà Fondamentali) così come interpretato dalla costante giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in forza del quale sarebbe da escludere la possibilità che tali prestazioni, seppur indebitamente erogate, siano suscettibili di ripetizione tutte quelle volte in cui sussista un legittimo affidamento del percipiente.

Legittimo affidamento che, nel caso di specie è stato ritenuto dai Giudici pugliesi, sussistente alla luce delle caratteristiche del concreto, ossia il “reiterarsi delle erogazioni indebite; la richiesta di restituzione dopo un periodo di tempo prolungato; la buona fede soggettiva dell’accipiens al momento della percezione delle somme non dovute; l’insussistenza di un mero errore materiale o di calcolo; la mancata previsione di una riserva di ripetizione all’atto del pagamento da parte dell’ente”.

Per tale ragione, non essendo possibile fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma rispetto a tali casistiche, ha prospettato la questione di legittimità costituzionale alla Consulta.

Indennità di disoccupazione percepita in buona fede ma non dovuta: i principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 8/2023.

Restituzione dei trattamenti pensionistici:  differenze e casistica

La Corte Costituzionale, dopo aver ricordato il valore “subcostituzionale” delle norme di rango Europeo, prende atto del fatto che, effettivamente, la Giurisprudenza della Corte ha specificato i presupposti necessari per poter qualificare un affidamento legittimo in capo al percettore di erogazioni nonché analizzato le condizioni che, nei singoli casi concreti, possono trasformare la richiesta di restituzione di un indebito in una sproporzionata ingerenza nei confronti di tale affidamento.

Tuttavia ha precisato che la medesima giurisprudenza della Corte Europea, ha riconosciuto che il solo fatto dell’affidamento incolpevole non comporta, di per sé solo, la conseguente irripetibilità delle somme indebitamente ricevute.

Infatti, sebbene la Corte EDU ribadisca la necessità che le normative statali approntino una tutela a tali ipotesi, è anche vero che viene lasciato un margine di apprezzamento agli Stati aderenti alla Convenzione, circa la predisposizione di normative interne che consentano di tutelare, in diversi modi, la posizione di colui che abbia indebitamente percepito delle somme.

Afferma la Corte Costituzionale, infatti, che “la giurisprudenza della Corte EDU offre una ricostruzione dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, volta a stigmatizzare interferenze sproporzionate rispetto all’affidamento legittimo ingenerato dall’erogazione indebita da parte di soggetti pubblici di prestazioni di natura previdenziale, pensionistica e non, nonché retributiva”.

Occorre, quindi, nell’ottica fatta propria dalla Consulta, considerare se il sistema normativo Italiano, anche laddove sia applicabile il meccanismo enucleato dall’art. 2033 c.c., consenta, in ogni caso, di tutelare il legittimo affidamento del percipiente le prestazioni pubbliche, nel caso di specie previdenziali di natura diversa da quelle pensionistiche.

Nell’effettuare tale analisi, la Corte Costituzionale riconosce che rispetto a specifiche tipologie di prestazioni indebite, sebbene diverse a quelle di natura previdenziale non pensionistica, il sistema normativo nazionale offre una tutela molto incisiva.

È il caso, ad esempio, delle prestazioni previdenziali, pensionistiche ed assicurative “per le quali il legislatore italiano dispone l’irripetibilità, con la sola eccezione dell’ipotesi in cui l’accipiens fosse consapevole di percepire un indebito e, dunque, fosse in uno stato soggettivo di dolo”.

Ancora, una disciplina analoga è prevista “da un complesso di previsioni concernenti prestazioni economiche di natura assistenziale […] rispetto alle quali la giurisprudenza di legittimità […] ha riconosciuto la sussistenza di un principio di settore, in virtù del quale la regolamentazione della ripetizione dell’indebito è tendenzialmente sottratta a quella generale del codice civile”.

Tuttavia, al di fuori di queste specifiche ipotesi disciplinate da leggi speciali, le prestazioni previdenziali di natura non pensionistiche indebite ricadono nell’ambito di applicabilità dell’art. 2033 c.c. che sancisce l’incondizionata ripetibilità delle somme percepite.

Nonostante ciò, la Consulta ritiene che il sistema normativo interno consenta di smorzare il principio dell’incondizionata ripetibilità dell’indebito e, quindi, anche di approntare una specifica tutela alle ipotesi in cui sussista il legittimo affidamento dell’accipiens.

Ad esempio, tale è la prescrizione di cui all’art. 1175 c.c. che sancisce il principio di buona fede oggettiva ed impone a tutte le parti coinvolte in un rapporto obbligatorio di comportarsi secondo correttezza.

Laddove tale disposizione debba essere applicata alla materia dell’indebito, essa impone al creditore di “esercitare la sua pretesa in maniera da tenere in debita considerazione […] la sfera degli interessi che fa riferimento al debitore”.

Così, applicando il principio alle singole casistiche concrete, “il primo accorgimento, imposto ex fide bona dalla sussistenza in capo all’accipiens di un affidamento legittimo circa la spettanza dell’attribuzione ricevuta, risiede nel dovere da parte del creditore di rateizzare la somma richiesta in restituzione, tenendo conto delle condizioni economico-patrimoniali in cui versa l’obbligato”.

In altre ipotesi , invece, siffatto bilanciamento degli interessi, può anche “far risultare giustificata la temporanea inesigibilità della prestazione”.

Le conclusioni della Corte Costituzionale

Corte costituzionale arriva alla seguente conclusione: “la clausola della buona fede oggettiva consente, sul presupposto dell’affidamento ingenerato dell’accipiens, di adeguare, innanzitutto, tramite la rateizzazione, il quomodo dell’adempimento della prestazione restitutoria, tenendo conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell’obbligato. Inoltre, in presenza di particolari condizioni personali dell’accipiens e dell’eventuale coinvolgimento di diritti inviolabili, la buona fede oggettiva può condurre, a seconda della gravità delle ipotesi, a ravvisare una inesigibilità temporanea o finanche parziale”.

Secondo la Corte Costituzionale quindi, se da un lato l’impianto della CEDU imponga agli Stati di predisporre una normativa interna tale da tutelare il legittimo affidamento riposto dai percipienti di una prestazione indebita circa la sussistenza del diritto a percepire le somme, è anche vero che il sistema giuridico interno consente di effettuare tale bilanciamento di interessi, senza sacrificare il diritto del creditore, ma, al tempo stesso, di tutelare il legittimo affidamento del percipiente.

Pertanto, “la norma che costituisce la fonte generale dell’indebito oggettivo, vale a dire l’art. 2033 c.c., non presenta i prospettati profili di illegittimità costituzionale in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. rispetto al parametro interposto di cui all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU”.

L’indennità di disoccupazione non dovuta sarà quindi ripetibile, anche se percepita in buona fede, ma in ogni singolo caso si dovrà applicare il meccanismo di cui all’art. 2033 c.c. in modo tale da consentire, in ogni caso, di non sacrificare eccessivamente la posizione del percipiente in buona fede che, comunque, sarà tenuto alla restituzione delle somme indebitamente percepite.

Gli avvocati dello Studio Legale Dedoni sono a vostra disposizione per la soluzione di ogni caso concreto.

Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Cagliari nel giugno 2020 con tesi in diritto regionale dal titolo “La competenza delle Regioni in materia di “lavori pubblici di interesse regionale. Differenziazione e prospettive future”. Nel corso del suo percorso di studi ha approfondito gli studi diritto costituzionale e amministrativo, nonché in materia di diritto del lavoro. Dal luglio 2020 collabora con lo Studio legale Dedoni, dove svolge la pratica forense.