Il trattamento differenziato del licenziamento per giusta causa rispetto a quello per giustificato motivo oggettivo     

La Corte Costituzionale riequilibra la tutela del licenziamento nelle due diverse ipotesi

La Sentenza 125 del 7 aprile 2022

La Corte costituzionale, con la Sentenza n. 125 del 2022, interviene per la seconda volta sull’art. 18 comma 7 della Legge 20 maggio 1970 n.300, secondo periodo, Statuto dei Lavoratori, che disciplina la reintegrazione attenuata nella parte in cui prevede che: “Applica altresì la predetta disciplina (il 4 comma dello stesso articolo 18) nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”. L’attenzione della Corte si focalizza sul concetto di “manifesta insussistenza del fatto” che, solo per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, a differenza di quello intimato per giusta causa, è posta a base della sanzione della reintegrazione.

Si è detto che è la seconda volta che la Corte Costituzionale interviene sul comma 7 dell’art.18 perché nella originaria formulazione dettata dalla Legge 92 del 2012, il Giudice, in caso di manifesta insussistenza del fatto posto a fondamento del licenziamento, poteva e non invece doveva, applicare la tutela reale.

Con la Sentenza n. 59 del 2021 la Corte Costituzionale ha invece stabilito che la manifesta insussistenza del fatto debba e non possa determinare la reintegrazione, ritenendo l’opzione irragionevole e priva di criteri univoci per la decisione demandata al Giudice che, di fatto, non aveva nessuna indicazione utile per l’applicazione ovvero la disapplicazione della reintegrazione.

Il trattamento differenziato del licenziamento: la Sentenza 125 del 7 aprile 2022

Le motivazioni della Corte Costituzionale

La Corte di Cassazione si concentra sulla ragionevolezza del criterio dell’insussistenza “manifesta”, un requisito previsto solo per i licenziamenti per motivo oggettivo e non per quelli intimati per giusta causa.

Il presupposto per la pronuncia di reintegrazione in entrambe le fattispecie risiede nella nozione di insussistenza del fatto che costituisce il presupposto dell’illegittimità. In entrambi i casi  resta sempre in capo al datore di lavoro fornire la prova dell’effettiva esistenza del fatto posto a motivazione del licenziamento.

Osserva la Corte che il requisito del carattere “manifesto” dell’insussistenza è indeterminato e che nella prassi è problematico il discrimine tra l’evidenza conclamata dell’inesistenza del fatto e la sua inesistenza pura e semplice.

Si tratterebbe di affidare al Giudice un apprezzamento imprevedibile e totalmente soggettivo non ancorato a nessun punto di riferimento con l’applicazione di due regimi sanzionatori profondamente diversi. Appare peraltro evidente che la sussistenza di un fatto ovvero la sua insussistenza, non si presta a particolari interpretazioni ma chiama il Giudice ad un accertamento semplice in termini positivi o negativi.

Il carattere di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento sembra piuttosto porsi in relazione con la facilità ed immediatezza dell’accertamento richiesto al Giudice e niente ha invece a che fare con il disvalore del recesso datoriale che anzi, proprio nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo è il più delle volte conseguente ad un accertamento probatorio complesso.

Quanto detto evidenzia come la più grave sanzione della reintegrazione viene legata ad un criterio che non riguarda la gravità del vizio del licenziamento ma piuttosto ad un criterio assolutamente accidentale della complessità dell’accertamento della esistenza del vizio.

Conclude in tal senso la Corte dichiarando l’illegittimità costituzionale della norma, limitatamente alla parola “manifesta” per l’irragionevole contrasto con i fini enunciati dall’art.1 lettera c della Legge 932/del 2012 che sono quelli di una più equa redistribuzione delle tutele dell’impiego.

Gli effetti pratici della Sentenza 125 del 2022 della Corte Costituzionale

La riscrittura del comma 7 dell’art.18 della Legge 300 del 1970   

La Sentenza della Corte, con lo stesso metodo utilizzato nella Sentenza n. 59 del 2021, elimina solo e soltanto la parola della disposizione che rende la norma contraria alla Costituzione e cioè il carattere “manifesto” dell’insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento, senza che sia pertanto necessario un successivo intervento del legislatore: la mera e non più la manifesta insussistenza del fatto, determina necessariamente l’applicazione della tutela reale seppure nella forma attenuata.

La declaratoria di illegittimità costituzionale non esclude l’estensione degli effetti della Sentenza 125 del 2022 ai rapporti di lavoro sorti anteriormente ad essa, purché ancora pendenti.

L’impatto dell’elisione di un singolo vocabolo dal testo della norma appare di non poco conto. Di fatto, secondo l’interpretazione più aderente alla riscrittura della norma, ogni singola carenza, non necessariamente più manifesta, di uno dei requisiti del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, può integrare l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento e dunque l’applicazione della tutela reale, di fatto limitando l’ipotesi della tutela risarcitoria ad ipotesi residue.

Resta dunque da chiarire quale sia l’ambito applicativo del comma 7 nel suo terzo periodo, nella parte in cui applica la tutela indennitaria ad ipotesi di licenziamento privo di giustificato motivo oggettivo ma che siano al contempo connotate dalla sussistenza del fatto perché l’intervento della Corte costituzionale finisce per delineare una norma assolutamente contraria alla ratio della Legge 92 del 2012 che, dichiaratamente, era orientata a circoscrivere la tutela reale alle sole ipotesi più gravi di illegittimità del licenziamento.

Restano inoltre da chiarire i rapporti della nuova formulazione della norma con quei licenziamenti nei quali il giustificato motivo oggettivo è svincolato da necessità legate al risparmio o alle perdite economiche ed invece il fatto posto a base del licenziamento può identificarsi in un riassetto organizzativo aziendale adottato  per mere finalità di lucro finalizzate al maggiore profitto.

La Sentenza della Corte Costituzionale rende ancora più urgente da parte della Giurisprudenza una perimetrazione più precisa dei confini della fattispecie del giustificato motivo oggettivo e non solo di  tipo organizzativo, poiché è proprio dalla sussistenza o dall’insussistenza del fatto che dipende il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro precedentemente occupato, con tutto quel che consegue non solo in termini di tutela per il lavoratore ma anche di certezza del diritto per il datore di lavoro.

Gli Avvocati dello Studio sono a disposizione per analizzare ogni problematica inerente la gestione dei rapporti di lavoro e, in particolare, le problematiche, come quella analizzata nella Sentenza qui commentata, inerente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

L’Avvocato Andrea Dedoni, è nato a Carbonia il 30 Settembre 1964 ed è iscritto all’albo degli Avvocati della provincia di Cagliari dal 1997.
E’ il titolare dello studio legale Dedoni , coordina, organizza e supervisiona il lavoro di tutti i collaboratori dello studio .

Le competenze dell’Avvocato Dedoni sono il Diritto del Lavoro, il Diritto Civile ed il Diritto Fallimentare. Vanta un’esperienza trentennale nella gestione dei rapporti di lavoro e nel contenzioso nel lavoro: è socio dell’Associazione Giuslavoristi Italiani e dell’Associazione Giuslavoristi Sardi.