Introduzione dell’istituto: inquadramento e ratio
Il legislatore italiano è intervenuto sulla disciplina delle dimissioni, introducendo, all’art. 26, D.lgs. del 14 settembre 2015, n. 151, il co. 7-bis, l’istituto delle dimissioni per fatti concludenti.
La nuova disposizione riguarda una fattispecie già nota in giurisprudenza, sulla quale si veda la “creativa” sentenza del Tribunale Ordinario di Udine – Sezione Lavoro del 31.1.2022, n. 20.
Il nuovo co. 7-bis, testualmente, prevede: «In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza».
Pertanto, quando l’assenza ingiustificata del lavoratore si protragga oltre il termine previsto dal CCNL o, in mancanza, quello previsto dalla legge di quindici giorni, l’assenza ingiustificata equivale alla risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni del lavoratore, salvo che non sia possibile dimostrare l’impossibilità di comunicare i motivi giustificativi dell’assenza.
La procedura ex art. 26, co. 7-bis, D.Lgs. 151/2015 può intendersi come un iter alternativo rispetto all’ipotesi in cui in caso di assenza ingiustificata – anche per un periodo inferiore a quindici giorni – il CCNL, applicato al contratto di lavoro, preveda il licenziamento.
La ratio legis della disciplina delle dimissioni per fatti concludenti si lega alla volontà di evitare casi di abuso del diritto in cui il lavoratore, mediante la sua assenza, miri a provocare il licenziamento, con ogni conseguenza in materia di pagamento, a carico del datore di lavoro, del c.d. ticket del licenziamento, nonché della fruizione del contributo NASpI a favore del lavoratore, che non ne ha diritto.
Tali comportamenti si pongono in contrasto sia con la libertà di iniziativa economica del datore di lavoro tutelata dall’art. 41 Cost., che contro l’interesse dello Stato di dotare di adeguata assistenza sociale quei soggetti veramente bisognosi in caso di disoccupazione involontaria, ricavabile dall’art. 38 Cost.
Applicazione delle dimissioni per fatti concludenti a seguito degli interventi interpretativi dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (nota n. 579 del 2025), dell’INPS (messaggio n. 639 del 2025) e del Ministero del Lavoro (circolari 6 e 5257 del 2025)
Nell’applicazione pratica, le dimissioni per fatti concludenti hanno sollevato non poche problematiche interpretative, sulle quali sono intervenuti l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), l’INPS e il Ministero del Lavoro.
La comunicazione di assenza ingiustificata come onere del datore di lavoro
La prima questione che è stata chiarita è che la comunicazione dell’assenza ingiustificata costituisce un onere del datore di lavoro, il quale dunque è libero di effettuarla – comunque trascorso il termine di assenza dei quindici giorni o quello previsto dal CCNL – a seconda che voglia far valere, o meno, l’assenza ingiustificata ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro.
Quindi, l’istituto delle dimissioni per fatti concludenti non opera automaticamente, bensì richiede sempre l’adempimento, da parte del datore di lavoro, della comunicazione dell’assenza ingiustificata alla sede territoriale dell’INL e al lavoratore assente.
Modalità di comunicazione e verifiche da parte della sede territoriale dell’INL
In secondo luogo, ai fini di una puntuale verifica da parte della sede territoriale dell’INL competente, il datore di lavoro dovrà effettuare la comunicazione prevista, preferibilmente, a mezzo pec mediante apposito modulo fornito dall’INL, il quale conterrà non solo i dati anagrafici del lavoratore, ma anche i recapiti dello stesso.
In questo modo, sarà possibile per le sedi territoriali dell’INL verificare la veridicità del contenuto della comunicazione del datore di lavoro, se del caso non soltanto mediante contatto diretto con il lavoratore ma, in generale, con qualsiasi soggetto che possa fornire informazioni utili.
In ogni caso, le verifiche dovranno svolgersi entro trenta giorni dalla ricezione della comunicazione dell’assenza ingiustificata.
La procedura di cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni per fatti concludenti può essere interrotta dalla trasmissione da parte del lavoratore delle dimissioni volontarie, ovvero per giusta causa, le quali avranno sempre precedenza producendo gli usuali effetti di legge.
Occorre, infine, precisare che nel caso in cui il lavoratore provi l’impossibilità di comunicare i motivi dell’assenza, o comunque la sede territoriale dell’INL verifichi la non veridicità della comunicazione del suo datore di lavoro, non solo potranno essere impugnati gli effetti risolutivi del nuovo istituto, ma, potenzialmente, lo stesso datore di lavoro potrebbe andare incontro a responsabilità, anche penale, per falsità nelle comunicazioni.
Effetti giuridici della comunicazione di assenza ingiustificata e dell’accertamento dell’INL
La comunicazione dell’assenza ingiustificata determina, dunque, la risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni per fatti concludenti.
La data della comunicazione dell’assenza ingiustificata inviata dal datore di lavoro all’INL si considera come dies a quo per il termine, fissato in cinque giorni, della comunicazione telematica obbligatoria di cessazione del rapporto da parte del datore di lavoro.
Qualora la sede territoriale dell’INL riscontri la non veridicità della comunicazione del datore di lavoro, la stessa comunicherà sia al lavoratore che al datore di lavoro l’inefficacia della risoluzione.
Va comunque precisato che, in caso di verifica, da parte della sede territoriale dell’INL, dell’insussistenza dei motivi sottostanti la comunicazione di assenza ingiustificata e dell’invio della comunicazione sopra indicata, l’effetto non sarà comunque quello della automatica ricostituzione del rapporto di lavoro.
Per il caso in cui il datore di lavoro non provveda a reintegrare il lavoratore, restano in capo allo stesso gli ordinari mezzi di impugnazione giudiziaria per la tutela delle proprie ragioni, ivi compresa quella del risarcimento del danno per l’impossibilità di godere della NASpI.
Conseguenze economiche delle dimissioni per fatti concludenti
In caso di dimissioni per fatti concludenti, il lavoratore non potrà accedere alla prestazione per disoccupazione NASpI, non rientrando le stesse nelle ipotesi di cessazione involontaria del rapporto di lavoro ex art. 3, D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22.
Di conseguenza, neppure sarà dovuto, dal datore di lavoro, il contributo normalmente dovuto in caso di interruzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato ex art. 2, co. 31, L. 28 giugno 2012, n. 92, ossia il c.d. ticket licenziamento.
Inoltre, il datore di lavoro potrà trattenere l’indennità di mancato preavviso, come per il caso di dimissioni volontarie senza preavviso.
I quindici giorni d’assenza: un requisito minimo non derogabile
ll Ministero del lavoro ha chiarito che, in ogni caso – anche in presenza di una disposizione apposita del CCNL applicabile – il termine iniziale da cui decorre, per il datore di lavoro, la possibilità di trasmettere la comunicazione dell’assenza ingiustificata, parte dal sedicesimo giorno di assenza.
In altri termini, riferendosi al principio di inderogabilità in peius del regime legale da parte della contrattazione collettiva, si è stabilito espressamente che solo a partire dal sedicesimo giorno di assenza il datore di lavoro può effettuare la comunicazione volta a determinare lo scioglimento del rapporto per dimissioni per fatti concludenti, potendo tuttalpiù l’autonomia contrattuale prevedere un termine maggiore.
Su sollecitazione del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, che aveva richiesto dei chiarimenti in merito, il Ministero del Lavoro si è nuovamente pronunciato sul punto confermando il proprio orientamento.
Il Consiglio aveva evidenziato, in particolare, come una corretta lettura del nuovo co. 7-bis imporrebbe di considerare il termine di quindici giorni come meramente residuale, in quanto la lettera della disposizione deporrebbe per la sua applicabilità solo in assenza di specifica previsione nel CCNL.
Il Ministero, apertamente adottando una lettura “prudenziale” – non senza affermare la possibilità di mutarla in caso di indicazioni contrarie da parte della giurisprudenza – ha confermato l’inderogabilità in peius, da parte della contrattazione collettiva, del termine di quindici giorni di assenza ingiustificata.
Tale scelta è motivata alla luce della necessità di scongiurare l’espulsione del lavoratore dal contesto lavorativo in assenza di adeguata giustificazione: un termine minore, infatti, potrebbe non permettere allo stesso di giustificare tempestivamente la causa della sua assenza.
Eccezioni alla nuova regola
Secondo il Ministero del Lavoro, l’istituto ex art. 26, co. 7-bis, D.Lgs. 151/2015 non può operare in alcuni casi in cui, ex lege, è prevista la convalida obbligatoria da parte del lavoratore delle dimissioni dal medesimo presentate.
Il riferimento è, in particolare, alle categorie di lavoratrici e lavoratori vulnerabili, come identificati ex art. 55 D.Lgs. n. 151/2001, ossia le lavoratrici in gravidanza e, in generale, i genitori durante i primi tre anni di vita dei figli.
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L’Avvocato Andrea Dedoni, è nato a Carbonia il 30 Settembre 1964 ed è iscritto all’albo degli Avvocati della provincia di Cagliari dal 1997.
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