Certificazione di parità di genere e appalti pubblici

Il tema della parità di genere nell’organizzazione dell’impresa

Il tema della parità di genere nell’organizzazione dell’impresa ha visto una forte spinta, soprattutto successivamente al periodo della pandemia e nel generale intento di far ripartire l’economia nazionale ed europea, perseguendo la rioccupazione delle persone che, a causa della chiusura delle aziende nel periodo nefasto del COVID, avevano perso il proprio posto di lavoro.

In particolare, nell’ambito delle misure del PNRR e dei fondi messi a disposizione degli Stati Membri per il rilancio dell’economia, una delle finalità oggetto di espresso sostegno è stata proprio quella dell’incentivazione della parità di genere.

Monitoraggio e incentivi

In particolare, il legislatore nazionale, sulla spinta di quello Europeo, ha incentrato il proprio intervento su due linee guida principali, ovvero da un lato il monitoraggio delle imprese in ordine al rapporto tra generi in tema di condizioni di lavoro e, dall’altro, alla previsione di misure incentivanti a fronte dell’assunzione, da parte delle imprese interessate, di misure volte a ridurre se non a eliminare il gender gap.

In particolare, la spinta primigenia in questo senso è stata limitata all’accesso ai fondi comunitari nell’ambito del PNRR.

Il D.L. n. 77/2021, convertito con L. n. 108/2021, ha introdotto l’art. 47 che impone agli operatori che intendano accedere ai finanziamenti o alla gare relative a lavori finanziati con fondi PNRR di allegare unitamente alla domanda di partecipazione il rapporto ex art. 46 Codice pari opportunità, corredato da attestazione di conformità a quello trasmesso alle RSA e al consigliera e consigliere regionale di parità ex art. 46, ovvero, in caso di inosservanza dei termini previsti dal comma 1 del medesimo articolo 46, con attestazione della sua contestuale trasmissione alle RSA e alla consigliera di parità provinciale e al consigliere regionale di parità, e ciò a pena di esclusione.

Certificazione di parità di genere

Si è poi introdotta la certificazione di parità di genere (nota anche come certificazione 125 o “bollino rosa”) con l’art. 46 bis nell’ambito della generale riscrittura del Codice delle Pari Opportunità effettuata dalla Legge n. 162/2021, strumento attraverso il quale le imprese dimostrano l’attuazione di piani e strumenti volti all’eliminazione del gender gap sotto diversi profili, quale quello salariale, dell’incentivazione del ruolo del personale femminile rispetto all’organizzazione aziendale etc.

Deve osservarsi che i due strumenti correvano, nella originaria formulazione, su due binari diversi, evidentemente frutto di due finalità diverse tra di loro e connesse al tempo di emanazione della relativa disciplina legale.

Evoluzione normativa

Quanto al rapporto ex art. 46 e alla sua rilevanza negli appalti pubblici, nella formulazione originaria esso diveniva requisito necessario di partecipazione esclusivamente con riferimento agli appalti o ai finanziamenti a valere sui fondi PNRR.

Differentemente, la certificazione di parità di genere, che è stata introdotta successivamente e con un intervento sistematico della materia, ha rappresentato lo strumento attraverso il quale, per la prima volta, il legislatore ha formalizzato un incentivo premiale per le imprese nell’ambito della partecipazione a procedure caratterizzate dall’evidenza pubblica.

In particolare, il DL n. 36/2022, convertito con modificazioni dalla L. n. 79/2022, ha dunque generalizzato l’istituto della certificazione di parità di genere con specifico riferimento non solo e non tanto alla verifica dello “stato di salute” delle imprese sotto il profilo del gender gap, quanto, piuttosto, all’incentivazione degli strumenti di riduzione ed eliminazione di tale gender gap.

Ha così modificato il comma 13 dell’art. 95 del vecchio codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016) introducendo, tra i criteri premiali obbligatori, “l’adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere e comprovata dal possesso di certificazione ex art. 46 bis Dlgs 198/2006”.

Solo successivamente, con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 36/2023 e dei suoi correttivi, abbiamo assistito a una tipizzazione e standardizzazione delle politiche volte all’incentivazione della parità di genere all’interno delle procedure di evidenza pubblica.

Il legislatore, con il nuovo codice dei contratti pubblici, per la verità non sempre in maniera compiuta in punto di coordinamento tra le norme, ha introdotto una serie di norme di carattere generale che informano le procedure ad evidenza pubblica sotto il profilo della incidenza della parità di genere nelle procedure di evidenza pubblica, riprendendo le due direttive sopra richiamate all’inizio del mio intervento, ovvero il monitoraggio delle imprese in ordine al gender gap e l’incentivazione al miglioramento delle condizioni di lavoro nell’ottica della parità di genere.

Deve preliminarmente osservarsi che, nella prima formulazione del d.lgs. n. 36/2023, l’obbligo di produzione e esibizione del rapporto ex art. 46 nelle procedure di evidenza pubblica a valere sui Fondi PNRR ha trovato recepimento nell’art. 94 rubricato Cause di esclusione automatica senza alcuna modifica sostanziale rispetto a quanto indicato all’art.47 al DL n. 79/2021, ma solo con riferimento agli appalti e alle procedure a valere sui Fondi PNRR.

L’obbligo di produzione del rapporto ex art. 46 aveva poi trovato richiamo indiretto nell’allegato II.3 in materia di contratti riservati ex art. 61 in materia di obbligo di inserimento di clausole sociali che prevedano quale requisito necessario o come requisito premiale meccanismi idonei all’incentivazione della parità di genere.

In particolare, l’art. 1 del predetto allegato II.3 introduceva l’obbligo di produzione, a pena di esclusione, del predetto rapporto per i soggetti a ciò tenuti, richiamando pedissequamente la disciplina dell’art. 46 Codice pari opportunità. Al comma 2 del predetto art. 1, per i soggetti che occupano almeno 15 dipendenti, è previsto l’obbligo di produrre, entro 6 mesi dalla conclusione del contratto, una relazione avente lo stesso oggetto di quello previsto dal rapporto ex art. 46, compreso l’obbligo di trasmettere l’allegato alle RSA e al consigliere e consigliera di parità. Erano poi previste una serie di ipotesi di criteri di premialità nonché ulteriori dichiarazioni.

L’Allegato II.3 prevedeva poi una serie di sanzioni per il caso di inadempimento delle disposizioni di cui ai commi precedenti e in particolare, oltre alle penali da introdurre nel disciplinare tecnico per il mancato adempimento degli obblighi comunicativi per le imprese di cui al comma 2 e, in generale, per la violazione degli impegni da assumersi obbligatoriamente nei commi 3,4 e 5 anche il divieto di partecipare a successive gare per i dodici mesi successivi.

L’Allegato II.3 prevede poi altresì la possibilità per le stazioni appaltanti di eliminare o ridurre l’impatto degli obblighi in punto di clasole sociali e dei criteri premiali a fronte di specifica motivazione in ragione della natura dell’oggetto del servizio e dell’interesse pubblico perseguito.

Come detto, la formulazione dell’art. 61, senza particolare motivazione si poneva in deroga sia con l’art. 57 in materia di clausole sociali obbligatorie in materia di parità di genere sia in contrasto con l’art. 1 dell’Allegato II.3, pure richiamato dall’ultimo comma dell’art. 61.

Infatti, l’art. 61 prevedeva l’introduzione alternativa delle clausole sociali quale requisito necessario o come criterio premiale mentre l’art. 1 dell’Allegato II.3 prevedeva la contestuale presenza di tali clausole, sia quelle ai fini dell’accesso alla procedura che quelle a carattere premiale.

Tale antinomia è rimasta sostanzialmente inalterata fino all’emanazione del d.lgs. n. 209/2024 (Correttivo contratti pubblici) il quale ha da un lato riscritto l’art. 61 abrogando il comma 2 che introduceva l’obbligo di previsione alternativa delle clausole e, dall’altro, estendendo così anche alle procedure aventi ad oggetto contratti negoziati di entrambe le tipologie di clausole sociali.

Ha altresì introdotto, all’art. 57 bis c. 2 che rimanda all’allegato II.3 che è rimasto invariato ma che trova applicazione a tutte le tipologie di appalti pubblici, tranne quelle relative alle prestazioni intellettuali.

Pertanto a oggi, il sistema delle clausole sociali generalmente applicato alle procedure di evidenza pubblica impone:

  1. La previsione obbligatoria di clausole sociali aventi ad oggetto la promozione della parità di genere, quale requisito necessario dell’offerta;
  2. La previsione obbligatoria di clausole premiali aventi ad oggetto la promozione della parità di genere;
  3. L’obbligatorietà della produzione del rapporto ex art. 46 Codice Pari opportunità per le aziende che rientrano nell’ambito del comma 1 dell’art. 46 Cod. Pari Opportunità, unitamente alla domanda di partecipazione;
  4. L’obbligatorietà, per le imprese con almeno 15 dipendenti, di produrre una relazione aggiornata avente il medesimo contenuto del rapporto ex art. 46, da prodursi entro il termine di 6 mesi dalla stipulazione del contratto.

Accanto a tale previsione deve poi ricordarsi l’art. 102 che introduce l’obbligo di assunzione da parte degli operatori economici, tra gli altri, dell’impegno a garantire le pari opportunità di genere. L’operatore deve indicare nell’offerta le modalità con le quali intende adempiere quegli impegni la quale è poi oggetto di verifica circa l’attendibilità degli impegni assunti anche con le modalità di verifica delle offerte anomale ex art. 110 nuovo codice anche se limitatamente all’impresa aggiudicataria.

In questo senso è interessante rilevare come, il nuovo Codice riprende ed esplicita poi il richiamo ai criteri premiali che il precedente art. 57 non menzionava espressamente se non con il rimando all’Allegato II.3, prevendo all’art. 108 in materia di criteri premi, riprendendo la formulazione dell’art. 95, c. 13, attribuisce valore premiale “all’adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere e comprovata dal possesso di certificazione ex art. 46 bis Dlgs 198/2006”.

Proprio l’art. 108 è stato oggetto di un’opera di rimaneggiamento in quanto, nella sua prima formulazione contenuta nel d.lgs. n. 36/2023, esso non conteneva il riferimento alla certificazione di parità di genere, ma piuttosto al generico possesso dei requisiti di cui all’art. 46 bis che potevano essere oggetto di autocertificazione e successiva verifica di attendibilità.

Fortunatamente, tale infelice formulazione è stata oggetto di modifica con il primo correttivo d.lgs. n. 36/2023, il quale ha ripreso la formulazione di cui al precedente codice, ovvero la comprovabilità tramite la certificazione di parità di genere ex art. 46 bis d.lgs. n. 198/2006.

 

Venendo ora alla Giurisprudenza, deve rilevarsi che le pronunce in ordine alle suddette clausole sociali e al modo di formulazione dell’offerta sono effettivamente molto scarse in quanto, attesa la sostanziale novità della questione, sono state fin qui riassorbite dalla questione storicamente più impattante per le imprese degli obblighi relativi all’applicazione di una determinata contrattazione collettiva o di riassorbimento del personale.

E’ però interessante una pronuncia di gennaio 2025, la n. 26/2025 con la quale il Consiglio di Stato ha ritenuto, in ordine alla violazione dell’art. 102, ovvero all’omessa assunzione degli obblighi dichiarativi in punto di garanzia occupazione, contrattazione collettiva e parità di genere, che “l’omessa allegazione della documentazione di gara, o la sua incompletezza, anche ove tale adempimento sia richiesto dal bando di gara (o dalla legge) a pena di esclusione, lungi dal consentire l’adozione del provvedimento di esclusione dell’operatore economico dalla procedura, costituisce, piuttosto, il presupposto – ai sensi del citato art. 101 Cod. Contratti pubblici..per l’esercizio del dovere di soccorso istruttorio o di soccorso procedimentale, imponendo alla stazione appaltante di richiedere all’interessato di integrare o regolarizzare o esibire la documentazione mancante, ovvero ogni documento richiesto dalla stazione di appaltante per la partecipazione alla procedura di gara…da un lato un formalismo eccessivo (posto l’ottenimento della certificazione di sistema che nell’impresa certificata si attuano quelle procedure che garantiscono il rispetto delle condizioni ottimali dei lavoratori sotto diversi profili, dall’altro l’aver adottato il provvedimento di esclusione automatico omettendo il necessario passaggio del soccorso istruttorio”.

Questa Sentenza, a mio parere, non appare condivisibile perché parte dal presupposto che gli impegni di cui all’art. 102 e, segnatamente, quello di cui alla lettera c) in relazione alla promozione delle pari opportunità, non costituisce elemento sostanziale dell’offerta e, come tale, può essere oggetto di soccorso istruttorio ex art. 101 c. 1 CdCP.

Mi pare che l’affermazione si ponga in senso contrario alle norme che fin qui abbiamo richiamato. Se, ad esempio, l’art. 57 stabilisce che le clausole sociali devono prevedere le misure indicate nella disposizione come requisito necessario dell’offerta, non può francamente affermarsi che le stesse esulino da tale disciplina.

E’ l’offerta tecnica che deve contenere e implementare nella sua costruzione, le misure di incentivazione della politica della parità di genere, perché l’organizzazione imprenditoriale portata all’attenzione della Stazione appaltante non può prescindere da tale elemento sostanziale che proprio connota l’attività dell’azienda ai fini dell’esecuzione della commessa.

Il legislatore ha inteso, con tale disposizione, ma anche con tali norme, che attraverso l’esecuzione dell’appalto si realizzino e vengano incentivate in concreto le suddette finalità.

Il Consiglio di Stato parte dall’esame del contenuto della clausola sociale per affermare che la stessa non sia parte dell’offerta, quanto piuttosto, un elemento ultroneo ed esterno all’offerta, venendo in evidente contrasto con la lettera e finanche lo spirito della norma.

Vi è da dire che neppure l’ANAC offre degli approdi sicuri per gli interpreti e gli operatori, atteso che le soluzioni esemplificative offerte risultano ancora embrionali rispetto al raggiungimento effettivo delle finalità di cui oggi discutiamo.

In questo senso, ad esempio, cito il Comunicato ANAC del 30 novembre 2022 o il Bando Tipo 1/2023 che affrontano la questione nel senso di prevedere delle clausole sociali che si limitano a richiedere l’introduzione di sistemi di monitoraggio dei KPI (indici prestazionali) previsti dalla prassi UNI/PDR 125:2022 e dal DPCM del 29.4.2022 o limiti più stringenti relativi agli obblighi di assunzione di determinate percentuali di personale.

E’ evidente, che una semplificazione di questo tipo non è sufficiente a ritenere centrato l’obiettivo.

La decisione del Consiglio di Stato segue sostanzialmente quell’orientamento giurisprudenziale per cui “l’offerta tecnica è conforme alla legge di gara se dalla stessa risulta l’impegno dell’offerente a rispettare tali condizioni nella fase esecutiva del servizio. Ciò sul presupposto che si tratta di elementi i quali, pur se utilizzati nel disciplinare quali criteri di valutazione dell’offerta tecnica cui ricollegare l’attribuzione di punteggi, rappresentano, tuttavia, il contenuto delle prestazioni contrattuali che l’appaltatore si obbliga ad adempiere dopo la conclusione del contratto; e che una verifica della effettiva sussistenza di tali requisiti anticipata alla fase di gara costituirebbe un ostacolo alla partecipazione in funzione anticoncorrenziale” (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 8.11.2022, n.9803). Alla luce dei principi giurisprudenziali sopra evidenziati, quindi, affinché un’eventuale difformità dell’offerta da quanto richiesto dalla disciplina di gara possa costituire causa di esclusione è necessario che la stessa legge di gara qualifichi espressamente la relativa prescrizione come requisito minimo essenziale della prestazione a pena di inammissibilità dell’offerta”.

Di segno opposto, invece, la giurisprudenza dei Tribunali Amministrativi (cfr ex multis TAR Lazio – Roma n. 18000/2024), che ammette, al più, sul punto, la figura del soccorso procedimentale, ovvero la richiesta di chiarimenti in ordine a elementi dell’offerta già presenti ma che richiedono chiarimenti e precisazioni ma che non travalichino il limite della modifica o integrazione postuma dell’offerta pena la violazione del principio della parità dei concorrenti.

Ultima questione da affrontare riguarda l’Avvalimento della certificazione di parità di genere sulle quali si segnalano due precedenti di segno opposto.

Come noto, l’art. 104 individua due tipologie di avvalimento ovvero quello primario, cioè la possibilità di sfruttare il particolare requisito dell’impresa ausiliaria ai fini della partecipazione a una gara e quello premiale, ovvero sfruttare l’impresa ausiliaria e le sue specifiche dotazioni tecniche e risorse di personale al fine di migliorare l’offerta in ottica di miglioramento del punteggio.

Ci si è dunque interrogati, in particolare, se la certificazione di parità di genere potesse essere oggetto di contratto di avvalimento al fine del miglioramento dell’offerta.

Sul punto la tesi negativa argomenta sul fatto che “la certificazione attiene ad una condizione soggettiva intrinseca dell’azienda che non può costituire oggetto di un contratto di avvalimento, perché non assimilabile ad una risorsa da mettere a disposizione di terzi che poi la potrebbero impiegare nell’esecuzione di un lavoro o di un servizio. Pare evidente che le politiche e misure concrete adottate dai datori di lavoro non potranno essere efficacemente trasferite ad altra realtà aziendale, la quale verosimilmente potrebbe avere minori o anche maggiori divari e aree anche del tutto diversi…dalla circostanza che il legislatore ha previsto la possibilità di attribuire un punteggio premiale a determinate imprese per una qualità intrinseca alla loro organizzazione aziendale che sia certificata discende che tale qualità non può essere oggetto di trasferimento a mezzo di un contratto di avvalimento” (cfr Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Bolzano n. 257/2024).

La tesi positiva, invece, parte da precedenti arresti del Consiglio di Stato secondo cui è legittimo l’avvalimento da parte dell’aggiudicataria per la certificazione di qualità, “la certificazione della qualità, relativa non al prodotto ma al sistema, attiene all’organizzazione aziendale ed è volta a migliorare l’efficacia e l’efficienza dei processi aziendali. Analogamente la certificazione della parità di genere mira a migliorare i processi aziendali, con la specifica finalità sociale di valorizzare la componente femminile in tali processi. L’avvalimento di tali certificazioni comporta l’effettività della messa a disposizione del complesso aziendale del soggetto al quale è stato riconosciuto il sistema di qualità. (TAR Marche 862/2024 conforme TAR Lazio Roma n. 11288/2024 in tema consorzi stabili dove l’avvalimento è ritenuto operante ex lege)”.

Ritengo che l’interpretazione favorevole all’avvalimento tenda a svilire la funzione della certificazione di parità di genere se letta nella generale disciplina che il nuovo codice degli appalti ne offre. Ed infatti, se è pur vero che, il possesso della certificazione rappresenta lo strumento prescelto dal legislatore per l’incremento del punteggio dell’offerta e, dunque, astrattamente trasferibile ai sensi dell’art. 104 ultimo comma, dall’altro, non deve dimenticarsi che la certificazione è lo strumento di misurazione del livello di parità di genere della singola impresa, la quale, però, è chiamata a caratterizzare la propria offerta proprio sotto tale profilo quale requisito necessario ai sensi dell’art. 57 più volte richiamato in precedenza così come in relazione agli obblighi assunti dall’operatore in ordine al miglioramento delle condizioni delle donne nell’ambito dell’abbattimento del gender gap. Non solo, appare difficilmente attuabile il disposto del comma 9 che impone all’impresa aggiudicataria di utilizzare, nell’esecuzione del contratto le risorse umane o dotazioni tecniche oggetto dell’avvalimento, atteso che, in questo caso, si tratterebbe nella sostanza di traslare un’intera realtà di impresa nell’esecuzione di un contratto, a meno di non ritenere la certificazione 125 come una mera attestazione senza che abbia alcun riverbero sul concreto atteggiarsi dell’attività.

Insomma, la soluzione maggioritaria che è quella favorevole, in favore del principio del favor partecipationis, tende a sminuire in maniera impattante la vera mission del compendio di norme sulla parità di genere.

L’avvocato Ivano Veroni collabora con lo studio Dedoni dall’anno 2011.
Durante l’esercizio della professione, l’Avvocato Veroni ha maturato specifiche competenze nel settore del Diritto del Lavoro e del Diritto Amministrativo.
E’ docente di diritto del lavoro per l’ANCI Sardegna e per l’IFEL.
Nell’anno 2022 ha ricoperto il ruolo di componente della Sottocommissione per la formazione in diritto del lavoro nel Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari ed è relatore in materia di diritto del lavoro nei convegni organizzati dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari.

L’avvocato Ivano Veroni collabora con lo studio Dedoni dall’anno 2011. Durante l’esercizio della professione, l’Avvocato Veroni ha maturato specifiche competenze nel settore del Diritto del Lavoro e del Diritto Amministrativo. E’ docente di diritto del lavoro per l’ANCI Sardegna e per l’IFEL. Nell’anno 2022 ha ricoperto il ruolo di componente della Sottocommissione per la formazione in diritto del lavoro nel Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari ed è relatore in materia di diritto del lavoro nei convegni organizzati dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari.

L’avvocato Ivano Veroni collabora con lo studio Dedoni dall’anno 2011. Durante l’esercizio della professione, l’Avvocato Veroni ha maturato specifiche competenze nel settore del Diritto del Lavoro e del Diritto Amministrativo. E’ docente di diritto del lavoro per l’ANCI Sardegna e per l’IFEL. Nell’anno 2022 ha ricoperto il ruolo di componente della Sottocommissione per la formazione in diritto del lavoro nel Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari ed è relatore in materia di diritto del lavoro nei convegni organizzati dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari.