Il limite tra appalto genuino e interposizione di manodopera
La Corte d’Appello di Cagliari, con la Sentenza n. 62/2023, si è pronunciata in materia di appalto di manodopera e quali siano i criteri per l’individuazione di un appalto genuino rispetto a fenomeni di interposizione in frode alla legge.
Il caso in esame riguardava la pretesa dell’INPS il quale riteneva che i rapporti di lavoro in essere con la società appaltatrice dovessero essere in realtà ricondotti alla società committente in quanto quest’ultima avrebbe esercitato direttamente il potere di eterodirezione tipico del lavoro subordinato sugli stessi e, per tale motivo, chiedeva al committente il versamento dei contributi previdenziali che la società appaltatrice aveva omesso di corrispondere all’INPS.
Lo Studio Legale Dedoni ha difeso l’impresa committente nel giudizio di appello, sostenendo la legittimità e genuinità dell’appalto e l’irrilevanza, ai fini di tale vicenda, della posizione del legale rappresentante della committente il quale ricopriva il ruolo di institore nella società cooperativa appaltatrice.
L’appalto di manodopera fraudolento e le sue conseguenze.
E’ noto che, soprattutto nel settore dell’edilizia, i lavori sono costantemente oggetto di contratti di appalto, dove la committente, dietro un corrispettivo, affida ad altra impresa l’esecuzione delle opere, la quale utilizza il proprio personale e, in generale, la propria organizzazione imprenditoriale per l’esecuzione delle stesse.
Il legislatore ha storicamente visto con sospetto tale vicenda contrattuale con specifico riferimento alla tutela dei lavoratori, i quali pur formalmente dipendenti dell’appaltatrice, nella realtà vengono utilizzati dalla committente come propri, decidendo quest’ultima modalità e tempi di esecuzione delle prestazioni lavorative e financo esercitando il potere disciplinare.
Il legislatore dunque, ha disciplinato la fattispecie secondo due linee direttive principali.
La prima è quella di facoltizzare l’utilizzazione di personale dipendente da altri soggetti ma solo dietro particolari garanzie e autorizzazioni come, ad esempio, la somministrazione di personale, regolata, prima dal d.lgs. n. 276/2003 e, da ultimo, dal d.lgs. n. 81/2015.
La seconda, invece, è quella classica dell’appalto di servizi, che però richiede che vengano rispettate una serie di condizioni di carattere sostanziale, soprattutto nell’effettiva esistenza di una organizzazione aziendale ed economica in capo alla società appaltatrice.
Per il caso di insussistenza di tali condizioni, la sanzione è quella dell’accertamento della titolarità dei rapporti di lavoro subordinato in capo al committente, che diventa dunque unico responsabile non solo degli obblighi retributivi ma anche contributivi in relazione ai predetti rapporti di lavoro.
La decisione della Corte d’Appello: la rilevanza della genuina qualità di imprenditore in capo all’appaltatrice.
La Corte d’Appello, con la sentenza in commento, accogliendo le eccezioni sollevate dallo Studio, rigetta l’appello dell’INPS e conferma la decisione di primo grado.
A tal fine, richiama correttamente la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (in particolare, le sentenze n. 15615/2011 e n. 9139/2018), la quale stabilisce che il discrimine risiede nella genuina qualità di imprenditore dell’appaltatore.
La Corte d’Appello infatti individua i tre criteri principali:
- L’organizzazione dei mezzi necessari: l’appaltatore deve disporre di una propria struttura organizzativa.
- L’esercizio del potere organizzativo e direttivo: l’appaltatore deve dirigere i propri dipendenti nell’esecuzione della prestazione.
- L’assunzione del rischio d’impresa: l’appaltatore deve sopportare il rischio economico legato all’esito dell’appalto.
La Corte chiarisce che la mera circostanza che il personale del committente (appaltante) impartisca disposizioni ai dipendenti dell’appaltatore non è di per sé sufficiente a configurare un appalto fraudolento. È necessario verificare se tali disposizioni ineriscano alle concrete modalità di svolgimento della prestazione (e siano quindi espressione del potere direttivo del datore di lavoro) oppure se riguardino il solo risultato che l’appaltatore deve conseguire, rientrando in tal caso nel legittimo potere di coordinamento e controllo del committente.
Accesso ispettivo e successivo giudizio di opposizione: valutazione delle dichiarazioni rese dai lavoratori
La Sentenza della Corte d’Appello si segnala inoltre per un’importante analisi della rilevanza delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di ispezione rispetto a quelle rese durante il successivo giudizio. La Corte d’Appello affronta la doglianza dell’INPS circa la presunta erronea valutazione delle prove da parte del Tribunale, che avrebbe preferito le testimonianze rese in giudizio alle dichiarazioni verbalizzate dagli ispettori.
La Corte, richiamando ancora una volta la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 23800/2014 e n. 4462/2014), ribadisce un principio fondamentale in materia di prova:
Il verbale di accertamento fa piena prova fino a querela di falso (c.d. fede privilegiata) unicamente per i fatti che il pubblico ufficiale attesta come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (es. la provenienza del documento, le dichiarazioni rese dalle parti in sua presenza).
La fede privilegiata non si estende agli apprezzamenti, alle valutazioni del verbalizzante, né alla verità sostanziale delle dichiarazioni rese da terzi. Tali dichiarazioni, raccolte fuori dal processo e senza le garanzie del contraddittorio, devono essere liberamente apprezzate dal giudice alla stregua di elementi indiziari, ma non possono avere un valore probatorio precostituito.
Applicando tale principio al caso di specie, la Corte demolisce il valore probatorio che l’INPS intendeva attribuire al verbale. L’uso del termine direttive nelle dichiarazioni raccolte dagli ispettori viene correttamente qualificato come essenzialmente valutativo e non come l’attestazione di un fatto specifico. Si tratta di una sintesi, di un giudizio, e non della descrizione di circostanze concrete da cui desumere l’effettivo esercizio del potere datoriale.
Inoltre, la Corte evidenzia le incongruenze delle stesse dichiarazioni verbalizzate, in cui alcuni lavoratori specificavano di ricevere istruzioni dal legale rappresentante della committente in qualità di procuratore della cooperativa, un ruolo che egli effettivamente ricopriva e che giustificava la sua presenza e le sue ingerenze gestionali per conto della società appaltatrice. Tale duplice veste dell’amministratore della committente (titolare della ditta committente e institore della cooperativa appaltatrice) rendeva necessario un onere probatorio particolarmente rigoroso a carico dell’INPS, che avrebbe dovuto dimostrare che le sue direttive erano impartite uti dominus per conto della propria ditta individuale e non in una delle altre sue legittime qualità.
A fronte di tali elementi incerti e valutativi, la Corte ritiene più attendibile la prova testimoniale assunta nel processo, con le garanzie del contraddittorio, dalla quale era emerso in modo univoco che le disposizioni operative venivano impartite da altri soggetti (il fratello del ricorrente o il capo cantiere, che erano invece dipendenti della società appaltatrice).
La decisione conferma che, nei giudizi di accertamento di obblighi contributivi basati su interposizione fittizia, l’onere della prova grava sull’ente previdenziale. Tale prova non può fondarsi unicamente sulle risultanze dei verbali ispettivi, soprattutto quando queste contengono giudizi valutativi o dichiarazioni di terzi non corroborate da altri elementi.
Il giudice deve procedere a un’attenta analisi comparativa di tutte le risultanze istruttorie, attribuendo il giusto peso alle prove formatesi nel contraddittorio tra le parti.
Gli avvocati dello Studio Legale Dedoni rimangono a disposizione per ogni questione in materia di appalti di manodopera e la loro migliore gestione
L’avvocato Ivano Veroni collabora con lo studio Dedoni dall’anno 2011.
Durante l’esercizio della professione, l’Avvocato Veroni ha maturato specifiche competenze nel settore del Diritto del Lavoro e del Diritto Amministrativo.
E’ docente di diritto del lavoro per l’ANCI Sardegna e per l’IFEL.
Nell’anno 2022 ha ricoperto il ruolo di componente della Sottocommissione per la formazione in diritto del lavoro nel Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari ed è relatore in materia di diritto del lavoro nei convegni organizzati dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari.