Ammanchi di cassa. La responsabilità del lavoratore. Illegittimità del licenziamento per giusta causa.

La Corte D’Appello di Cagliari – Sezione Distaccata di Sassari – con la Sentenza n. 23 pubblicata il 5 marzo 2025, ha rigettato l’appello proposto dal datore di lavoro ritenendolo infondato e ha confermato le statuizioni di cui alla sentenza n. 180/2024 emessa dal Tribunale di Tempio Pausania di cui era stato pubblicato un nostro commento con l’articolo del 9 ottobre 2024.

La vicenda.

La lavoratrice, assistita dallo studio legale Dedoni, impiegata in qualità di commessa presso una rivendita di tabacchi e commercio al dettaglio, in virtù di un contratto a tempo indeterminato, aveva subito un procedimento disciplinare con cui le era stato contestato di essersi appropriata, nel periodo dal mese di gennaio 2017 al mese di dicembre 2017, di sigarette e/o somme di denaro contante per un valore complessivo di € 29.928,66.

Il datore di lavoro aveva contestato alla lavoratrice che dal rendiconto di carico/scarico della merce di tabacchi, rispetto alle risultanze del conto bancario, presso cui la lavoratrice effettuava i versamenti degli incassi delle vendite di tabacchi, risultavano ammanchi per un totale di € 29.928,66.

Il datore di lavoro prima di ricevere le giustificazioni della lavoratrice provvedeva a comunicare il licenziamento e successivamente preso atto delle discolpe, confermava comunque il recesso, adducendo che in ogni caso le giustificazioni fornite non erano accoglibili.

La lavoratrice impugnava il licenziamento e nel ricorso, oltre all’accertamento dell’illegittimità del recesso, chiedeva la condanna del datore di lavoro al pagamento dell’ultima mensilità e del tfr trattenuta dal datore di lavoro sull’asserito maggior credito.

Il datore di lavoro, si costituiva contestando le deduzioni della ricorrente e chiedendo in via riconvenzionale il pagamento della somma di € 29.928,66.

La sentenza di primo grado in accoglimento totale del ricorso aveva condannato il datore di lavoro al pagamento, nei confronti della lavoratrice, dell’indennità risarcitoria per illegittimità del licenziamento oltre al pagamento dell’ultima mensilità, tfr e spettanze finali ingiustamente trattenute dal datore di lavoro al momento del recesso.

Il datore di lavoro, a seguito della notifica della sentenza, ricorreva in appello per la riforma delle statuizioni del primo grado.

La decisione della Corte di Appello di Cagliari. Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo non può essere intimato in assenza di specifica contestazione disciplinare.

La Corte D’Appello ha ritenuto il ricorso infondato e confermato la sentenza impugnata.

Il datore di lavoro aveva lamentato che il Giudice del primo grado non aveva tenuto in buon conto, anche presuntivamente, la circostanza che la lavoratrice, proprio in ragione delle mansioni svolte, si era appropriata alternativamente o cumulativamente della somma di € 29.928,66 o dell’equivalente monetario in stecche di sigarette nel periodo da gennaio a dicembre 2017.

L’appellante ha così basato le proprie contestazioni sui seguenti indici: ritardo nella redazione dell’inventario più volte richiesto dal datore di lavoro; la lavoratrice era l’unica dipendente che versava i contanti in banca; la lavoratrice era l’unica dipendente che si interfacciava con la commercialista che teneva la contabilità della ditta; la lavoratrice era l’unica dipendente autorizzata ad acquistare i tabacchi; la lavoratrice era l’unica dipendente che avrebbe dovuto segnalare l’ammanco di cinquemila stecche di sigarette dopo la riapertura del tabacchi nel gennaio del 2017; il fatto di non aver fornito la giustificazione dopo la contestazione disciplinare.

Secondo il datore di lavoro il comportamento della lavoratrice che non aveva mai predisposto l’inventario giustificava comunque un licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

Secondo la Corte D’Appello il comportamento addebitato alla lavoratrice, secondo la ricostruzione offerta dalla appellante, non ha trovato riscontro nella prova testimoniale partendo dal fatto che la tabaccheria nel periodo dal dicembre 2016 al gennaio 2017 era rimasta chiusa per lavori e la merce trasferita in un magazzino le cui chiavi erano in possesso di diverse persone, la cui prova è emerso sia nella deposizione in sede penale sia nel processo di primo grado.

La Corte ha altresì evidenziato che l’appellante non aveva mai svolto un inventario per verificare l’esatto quantitativo di merce presente al momento della riapertura della tabaccheria dopo la ristrutturazione e che soltanto con tale operazione avrebbe potuto escludere la sottrazione di una parte della merce.

Per tutto il periodo successivo alla ristrutturazione della tabaccheria, la Corte D’Appello, ha comunque dato atto del fatto che la lavoratrice non era da sola a svolgere la mansione all’interno dell’esercizio commerciale e che l’alternanza di un’altra dipendente per circa sei mesi l’anno consentiva di ritenere che l’obbligo di tenere traccia degli incassi e della merce venduta era un incarico che poteva e doveva essere svolto anche dall’altra dipendente.

Con un’argomentazione logica del tutto condivisibile la Corte D’Appello nel rigettare i motivi di appello ha così statuito “..Il rigetto del primo motivo – conseguentemente all’indimostrata condotta di appropriazione addebitata all’appellata – determina l’infondatezza anche della domanda subordinata di licenziamento per giustificato motivo soggettivo considerato che l’omessa redazione e relativo invio periodico dell’inventario, peraltro richiesto dal distaccatario e non dalla società appellante distaccante (secondo lo schema giuridico indicato dal primo giudice e non oggetto di contestazione nel corso del presente giudizio), non risulta comunque compreso tra le condotte oggetto di contestazione disciplinare sì da dovere ritenere che detto aspetto non abbia costituito un inadempimento grave tanto da giustificare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo”.

Per tutte queste considerazioni la Corte ha rigettato il ricorso in appello del datore di lavoro confermando le statuizioni della sentenza di primo grado.

Gli Avvocati dello Studio Dedoni sono a disposizione per l’analisi e la consulenza in merito a ciascuna singola problematica.

 

Durante l’esercizio della professione ha maturato specifiche competenze in materia di Diritto Civile e specificamente in materia di Diritto di Famiglia. L’Avvocato Danila Furnari dal 2018 collabora presso lo studio legale Andrea Dedoni ove sta maturando le sue conoscenze in materia di Diritto del Lavoro.

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