Licenziamento disciplinare. E’ illegittimo quando al lavoratore non è consentito discolparsi.

Ferie non godute. Il datore di lavoro deve provare di aver consentito al lavoratore di andare in ferie.

Il Tribunale di Cagliari con la Sentenza n. 1067/2023 del 3 agosto 2023, ha affrontato due questioni di diritto che meritano attenzione: ha accolto l’impugnazione del licenziamento di un lavoratore che aveva subito il recesso senza aver potuto fornire le proprie giustificazioni e dunque in violazione del diritto di difesa ed ha confermato l’orientamento giurisprudenziale per il quale l’onere della prova della fruizione delle ferie è in capo al datore di lavoro, principio questo che può estendersi anche ai permessi non goduti.

Licenziamento disciplinare. E’ illegittimo quando al lavoratore non è consentito discolparsi.

La vicenda.

Il lavoratore, assistito dallo studio legale Dedoni, impiegato in virtù di un contratto a termine presso un ristorante, aveva subito dapprima un licenziamento in forma orale e subito dopo lo stesso licenziamento era stato reiterato in forma scritta, mediante una lettera, nella quale venivano contestate alcune condotte senza che fosse consentito al lavoratore di poter fornire le proprie discolpe.

Il lavoratore nel proprio ricorso, oltre all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento, con conseguente richiesta di risarcimento del danno dalla data del recesso e fino alla scadenza del contratto, aveva chiesto anche il riconoscimento di differenze retributive per lavoro straordinario svolto e per indennità di ferie e permessi non goduti.

Il datore di lavoro, a cui ritualmente era stato notificato il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza, non si è costituito ed è stato dichiarato contumace.

Ferie non godute. Il datore di lavoro deve provare di aver consentito al lavoratore di andare in ferie.

La pronuncia del Tribunale di Cagliari.

Conla Sentenza n. 1067 del 3 agosto 2023, il Tribunale di Cagliari ha ritenuto il ricorso fondato e meritevole di accoglimento sia in punto di riconoscimento delle differenze retributive che in punto di illegittimità del recesso.

Il Giudice, quanto alla domanda di condanna del datore di lavoro al pagamento di differenze retributive per lavoro straordinario svolto, ha ritenuto provato che il lavoratore avesse osservato abitualmente un orario di lavoro di almeno dodici ore al giorno articolato su sette giorni alla settimana e con mezza giornata di riposo.

Secondo il Giudice dalla maggiore quantità di lavoro prestato discende il diritto al maggior compenso con incidenza anche sugli istituti contrattuali quali indennità sostitutiva per ferie non godute e per permessi non fruiti.

Al riguardo il Giudice ha valorizzato il recente orientamento della Suprema Corte (Cass. n. 21780 dell’8 luglio 2022) che pone l’onere della prova circa l’effettiva fruizione delle ferie e anche dei permessi a carico del datore di lavoro il quale, nel caso di specie, non ha dimostrato alcunchè essendo rimasto contumace.

Per quanto concerne la domanda di impugnazione del licenziamento, il Giudice ha ritenuto dimostrato che, in data 12 agosto 2020, il datore di lavoro aveva intimato al lavoratore il licenziamento per giusta causa mediante una lettera con cui erano contestate diverse condotte asseritamente illegittime.

Secondo l’interpretazione condivisibile del Giudice se da un lato è irrilevante che il recesso sia riferibile alla lettera scritta oppure all’intimazione verbale del giorno prima, visto che la tutela richiesta era necessariamente risarcitoria, dall’altro ha osservato che in ogni caso il licenziamento è stato intimato in tronco senza che al lavoratore fosse consentito di fornire le proprie giustificazioni nei termini di legge.

Secondo il Giudice del Tribunale di Cagliari è applicabile al caso di specie il principio giurisprudenziale in base al quale “Il licenziamento intimato a motivo di una colpevole condotta del prestatore di lavoro, sia “ontologicamente” disciplinare ed implica, per tale ragione, la previa osservanza delle garanzie procedimentali stabilite dall’art. 7 della legge 20 maggio 1970 n. 300, la cui violazione, tuttavia, non comporta nullità dell’atto di recesso ma lo rende ingiustificato, nel senso che il comportamento addebitato al dipendente non fatto valere attraverso quel procedimento, non può quand’anche effettivamente sussistente e rispondente alla nozione di giusta causa o giustificato motivo, essere addotto dal datore di lavoro per sottrarsi all’operatività delle tutela apprestata dall’ordinamento nelle diverse situazioni (Cass. n. 14326 del 9 agosto 2012; Cass. n. 5855 del 12 aprile 2003)”.

Licenziamento disciplinare. E’ illegittimo quando al lavoratore non è consentito discolparsi. Il risarcimento del danno nei contratti a tempo determinato.

Secondo il Giudice le conseguenze dell’illegittimità del licenziamento attengono alla mancanza di giusta causa così come disposto dall’art. 2119 c.c. in base al quale il datore di lavoro può recedere dal contratto prima della scadenza del termine nel caso in cui si verifichi una giusta causa tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro subordinato nemmeno provvisoriamente.

Ed infatti nei contratti di lavoro a tempo determinato non è consentito il licenziamento per giustificato motivo oggettivo perché a priori il datore di lavoro è nelle condizioni di valutare eventuali problemi economici della sua azienda nell’arco di tempo di vigenza del contratto di lavoro.

E’ condivisibile l’iter logico interpretativo del Giudice, alla stregua dei principi giurisprudenziali ormai consolidati, secondo cui “(..) laddove, quindi, il recesso avvenga in mancanza di giusta causa (e, deve aggiungersi, sia comunque illegittimo, come nel caso di specie), al lavoratore spetta un risarcimento del danno commisurato all’entità dei compensi retributivi che lo stesso avrebbe maturato dalla data del recesso fino alla scadenza del contratto, salva la prova, da darsi rispettivamente da parte del lavoratore o del datore di lavoro, di un danno maggiore o inferiore”.

Pertanto nel caso di specie al lavoratore ingiustamente licenziato dal datore di lavoro prima della scadenza del termine è stato riconosciuto un risarcimento del danno commisurato ai compensi lordi che avrebbe percepito se il rapporto di lavoro non fosse stato interrotto e quantificato in base ai dati forniti dai fogli paga versati in atti.

Gli avvocati dello studio sono a disposizione per l’analisi e la consulenza in merito a ciascuna singola problematica.

Durante l’esercizio della professione ha maturato specifiche competenze in materia di Diritto Civile e specificamente in materia di Diritto di Famiglia. L’Avvocato Danila Furnari dal 2018 collabora presso lo studio legale Andrea Dedoni ove sta maturando le sue conoscenze in materia di Diritto del Lavoro.