La discrezionalità del datore di lavoro nell’applicazione dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.

I limiti imposti dall’ordinamento e il principio costituzionale di proporzionalità e adeguatezza della retribuzione   

La facoltà di scelta del contratto collettivo da applicare ai rapporti di lavoro ricade tra le insindacabili decisioni del datore di lavoro. Tendenzialmente il datore di lavoro può scegliere qualsiasi contratto collettivo anche se totalmente incoerente con l’attività imprenditoriale esercitata perché non vi è una norma che limiti la scelta datoriale.

I limiti che incontra questa regola sono sostanzialmente due: l’iscrizione del datore di lavoro ad una associazione stipulante il CCNL ed in quel caso è obbligato all’applicazione del contratto sottoscritto dalla associazione alla quale si è iscritto e l’applicazione in via di fatto di un determinato CCNL, applicazione che seppure spontanea, impone al datore di lavoro di garantire in via continuativa ai suoi lavoratori i minimi retributivi del CCNL.

Ai principi enunciati fanno eccezione le cooperative datrici di lavoro che sono obbligate a prevedere, solo per i loro soci, un trattamento economico complessivo uguale a quello stabilito dai CCNL stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria.

E’ infine necessario ricordare l’art.36 della Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Si tratta di una norma che ha immediata forza cogente, viene cioè applicata senza necessità di altre disposizioni complementari, perché costituisce uno dei diritti irrinunciabili del lavoratore.

Per Giurisprudenza costante i parametri di adeguatezza e proporzionalità dettati dall’art.36 della Costituzione si ritengono soddisfatti dai minimi retributivi fissati da un contratto collettivo tanto che si può affermare che i minimi tabellari della retribuzione contenuti in un CCNL si presumono adeguati e proporzionati ai sensi dell’art.36 della Costituzione (si veda in particolare Cassazione 38666 del 28.10.2021).

La discrezionalità del datore di lavoro nell’applicazione dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.

Il Giudice ha il potere di determinare la giusta retribuzione dovuta al lavoratore

Il contrasto giurisprudenziale

E’ nato un acceso dibattito sul potere del Giudice di dichiarare l’illegittimità delle norme del CCNL in materia di minimi tabellari retributivi applicato spontaneamente dal datore di lavoro, con conseguente imposizione di altra e diversa retribuzione parametrata di un diverso CCNL.

E’ evidente che se viene riconosciuto tale potere, di fatto si finisce per incidere sulla discrezionalità del datore di lavoro di poter scegliere il CCNL da applicare ai rapporti di lavoro all’interno della sua azienda, finendo per attribuire al Giudice il potere di individuare un salario minimo, potere che però non trova corrispondenza in nessun provvedimento legislativo.

La Giurisprudenza ha soffermato la sua attenzione sul CCNL vigilanza privata – servizi fiduciari, siglato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative e sia il Tribunale di Milano prima che quello di Catania successivamente, hanno pronunciato la illegittimità delle norme del CCNL vigilanza privata – servizi fiduciari, che fissavano minimi tabellari inferiori ad altri CCNL applicati allo stesso settore ed in particolare il CCNL Multiservizi.

Il Tribunale di Milano, Sezione del Lavoro, con la Sentenza n.673 del 22 marzo 2022, ha accolto il ricorso di due lavoratori di una cooperativa sociale che svolge servizi di portierato e guardiania, che hanno richiesto al datore di lavoro le differenze retributive ricomputate sulle tabelle del Ccnl Multiservizi in luogo di quelle del CCNL vigilanza privata – servizi fiduciari applicato ai loro rapporti di lavoro

I lavoratori hanno lamentato che il CCNL Multiservizi prevede, per mansioni di medesima complessità e natura, trattamenti retributivi superiori e più coerenti con il precetto costituzionale dell’art. 36.

Il Tribunale di Milano, con un giudizio di tipo comparativo, ha ritenuto che la misura della retribuzione annua lorda riconosciuta dal CCNL vigilanza privata – servizi di guardiania, per lo svolgimento full time di attività di guardiano notturno, non sia proporzionata alla quantità e qualità del lavoro, posto che i valori retributivi di mercato fotografati da altri CCNL applicabili a tali mansioni e su tutti il CCNL Multiservizi, risultano sensibilmente superiori.

A sostegno di tale assunto ha posto in evidenza il fatto che i livelli retributivi in questione risultano addirittura inferiori alla soglia di povertà ISTAT, con la conseguenza che essi non risultano idonei ad evitare al lavoratore e alla sua famiglia di vivere in condizioni di bisogno ed indigenza.

Secondo il Tribunale di Milano è sempre possibile per il giudice discostarsi in melius dai parametri retributivi previsti da un Contratto Collettivo Nazionale quando riscontri che il trattamento economico determinato dalle parti sociali sia in contrasto con il precetto dell’art. 36 della Costituzione. In questi casi sarebbe consentito al giudice di assumere come criterio orientativo un contratto collettivo nazionale non applicato a quel determinato rapporto di lavoro, con l’unico limite di dover indicare nella motivazione della sentenza i criteri di valutazione utilizzati in modo da consentire il controllo circa la correttezza e congruità logico giuridica della decisione.

Il Giudice del Lavoro di Catania, con la Sentenza del 21 luglio 2023, ha stabilito che la retribuzione oraria prevista dal Ccnl vigilanza privata – servizi fiduciari, siglato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, per le mansioni di usciere, non è conforme all’articolo 36 della Costituzione e pertanto le relative clausole del contratto, articoli 23 e 24, sono nulle e devono applicarsi i minimi salariali previsti da un altro contratto collettivo affine.

Pur riconoscendo che il livello retributivo fissato da un contratto collettivo è accompagnato da «una presunzione di adeguatezza» ai sensi dell’art. 36 della Costituzione, afferma che questa presunzione non è assoluta, ben potendo il lavoratore fornire una prova contraria. Nel caso del CCNL contestato, il Giudice del Lavoro di Catania ha ritenuto che la retribuzione oraria prevista non sia adeguata a garantire un’esistenza veramente libera e dignitosa e che la prova della sua inadeguatezza sia stata fornita mediante la comparazione di altri tre contratti collettivi stipulati dai sindacati rappresentativi nel settore o di settori analoghi e precisamente il CCNL per i dipendenti da proprietari di fabbricati, il CCNL terziario e il CCNL multiservizi.

Sulla base di queste considerazioni, il Tribunale conclude rilevando la nullità delle clausole collettive del contratto vigilanza privata – servizi fiduciari che fissano la retribuzione per le mansioni di usciere, in quanto gli altri accordi collettivi prevedono, per identiche mansioni, una retribuzione di gran lunga superiore.

La giurisprudenza del Giudice Amministrativo sul Contratto Collettivo Nazionale della vigilanza privata – servizi fiduciari, sottoscritto dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

Il Giudice non ha il potere di determinare la giusta retribuzione dovuta al lavoratore

Il contrasto giurisprudenziale.

Il Tribunale Amministrativo regionale per la Lombardia, con la Sentenza n.20046 del 4 settembre 2023, si pronuncia in maniera diametralmente opposta a quanto  affermato dai Giudici del Lavoro di Milano e Catania, legittimando di fatto il CCNL per i dipendenti da Istituti e Imprese di Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari quale fonte di riferimento per definire l’adeguatezza e la proporzionalità della retribuzione.

Il caso concreto affrontato dal TAR della Lombardia è relativo ad un verbale di accertamento emesso dalla dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Como con il quale era stata disposta, in capo alla Cooperativa datrice di lavoro, la corresponsione ai suoi soci lavoratori delle differenze retributive rideterminate secondo il CCNL Multiservizi in luogo del CCNL per i dipendenti da Istituti e Imprese di Vigilanza Privata e Servizi fiduciari applicato ai rapporti di lavoro.

Osservano i Giudici Ammnistrativi che “… … … secondo la legge, il trattamento complessivo minimo da garantire al socio-lavoratore è quello previsto dal C.C.N.L. comparativamente più rappresentativo del settore, che funge da parametro esterno di commisurazione della proporzionalità e della sufficienza del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell’art. 36 Cost. (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 51 del 2015). In tal modo si impedisce l’applicazione al socio-lavoratore di una Cooperativa di un Contratto collettivo c.d. “pirata” (ovvero sottoscritto da organizzazioni sindacali minoritarie e quindi poco rappresentative) o l’applicazione di un Contratto collettivo non pertinente rispetto al settore di attività in cui opera la predetta Cooperativa” e che “Certamente il predetto Contratto collettivo appare appropriato rispetto all’attività svolta dalla Cooperativa ricorrente, visto il settore in cui la stessa è attiva; il differente Contratto collettivo per l’area Multiservizi si riferisce alle imprese che operano anche nel settore della pulizia, della logistica e dei servizi integrati di global service, cui la ricorrente risulta estranea”.

Osservano altresì i Giudici del TAR che, in ogni caso il Contratto collettivo della Vigilanza privata e dei servizi fiduciari applicato dalla Cooperativa è stato sottoscritto dai sindacati di settore maggiormente rappresentativi e che pertanto non può essere messo in dubbio né che sia un contratto pirata né che non sia idoneo a fungere da parametro per l’individuazione della soglia della retribuzione da considerare proporzionata ai sensi dell’art. 36 Cost.

I Giudici del TAR concludono il loro ragionamento nel senso di negare al Giudice ovvero a qualsivoglia autorità di controllo, il potere di individuare la giusta retribuzione in assenza di una legge che imponga un salario minimo.

Tale potere infatti non solo non sarebbe contrario alla legge e in particolare al disposto di cui all’art. 7, comma 4, del decreto legge n. 248 del 2007, che prevede unicamente che le società cooperative debbano applicare ai propri soci lavoratori i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, ma avrebbe anche conseguenze negative in termini di disparità di trattamento tra i lavoratori e le imprese perché conseguenti ad interventi limitati ai singoli casi giudiziari e non invece ad un approccio di natura complessiva e sistemica.

Deve rilevarsi che non è la prima volta che la Giurisprudenza Amministrativa e quella del Lavoro si trovano in contrasto (si veda solo per fare un esempio sul nostro sito “Cessazione dell’appalto e applicazione della clausola sociale dei contratti collettivi nazionali”, del 19 settembre 2023, a cura dell’avvocato Danila Furnari). E’ forse l’approccio più sostanziale alla materia del lavoro che caratterizza i provvedimenti del Giudice del Lavoro in luogo di un approccio più formale del Giudice Amministrativo a causare il conflitto. Quello che è certo è che in mancanza di un salario minimo fissato dalla Legge, la possibilità per ciascun giudice di fissare la giusta retribuzione, seppure sulla base di ragionamenti logico giuridici ineccepibili ma non rivolti alla generalità dei lavoratori in analoghe condizioni lavorative, porterebbe inevitabilmente a ingiuste disparità di trattamento sia per i lavoratori che per le imprese, con conseguenze negative sia in termini sociali ma anche produttivi e della concorrenza.

Deve anche osservarsi che delegare al giudice il potere di fissare la giusta retribuzione finirebbe per aprire un conflitto di competenze con le parti sociali ed in particolare con le organizzazioni datoriali e sindacali, di fatto sottoposte ad un giudizio di inadeguatezza nella loro attività di contrattazione.

E’ auspicabile un intervento legislativo che ponga un punto fermo su una questione che investe interessi primari e che deve necessariamente essere risolta in maniera complessiva e sistemica.

Gli Avvocati dello Studio Dedoni sono pronti ad offrire consulenza ai clienti in materia del diritto del lavoro

L’Avvocato Andrea Dedoni, è nato a Carbonia il 30 Settembre 1964 ed è iscritto all’albo degli Avvocati della provincia di Cagliari dal 1997.
E’ il titolare dello studio legale Dedoni , coordina, organizza e supervisiona il lavoro di tutti i collaboratori dello studio .

Le competenze dell’Avvocato Dedoni sono il Diritto del Lavoro, il Diritto Civile ed il Diritto Fallimentare. Vanta un’esperienza trentennale nella gestione dei rapporti di lavoro e nel contenzioso nel lavoro: è socio dell’Associazione Giuslavoristi Italiani e dell’Associazione Giuslavoristi Sardi.