L’INAIL fornisce ulteriori chiarimenti con la circolare n. 22 del 20 maggio 2020
Come avevamo auspicato nella nostra newsletter dello scorso 19 maggio, l’INAIL ha chiarito con la circolare n. 22 del 20 maggio 2020 ulteriori aspetti relativi alla tutela nei casi accertati da Coronavirus in occasione di lavoro.
L’INAIL ha precisato che i principi in forza dei quali procede alla valutazione dei fatti ai fini dell’ammissione della tutela infortunistica sono ancorati alla sussistenza “di indizi gravi, precisi e concordanti sui quali deve fondarsi la presunzione semplice di origine professionale, ferma restando la prova contraria a carico dell’Istituto. In altri termini, la presunzione semplice che, si ribadisce, ammette sempre la prova contraria, presuppone comunque l’accertamento rigoroso dei fatti e delle circostanze che facciano fondatamente desumere che il contagio sia avvenuto in occasione di lavoro”.
L’Istituto dunque chiarisce che il riconoscimento della malattia professionale per contagio si fonda su un giudizio di ragionevole probabilità che non può essere confuso con i presupposti della responsabilità civile e penale del datore di lavoro che deve essere accertata con criteri diversi.
Pertanto l’INAIL sottolineando l’indipendenza logico – giuridica del processo assicurativo con i procedimenti giudiziari, precisa che una responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o degli obblighi contenuti nei protocolli e nelle linee guida di cui all’art. 1 comma 14 del D.L. n. 33 del 16 maggio 2020 mentre per la tutela infortunistica il rispetto dei protocolli può non essere sufficiente ai fini dell’esclusione dell’indennizzo “non essendo possibile pretendere negli ambienti di lavoro il rischio zero”.
Per quanto riguarda invece l’azione di regresso da parte dell’INAIL nei confronti del datore di lavoro, cioè la possibilità di richiedere la restituzione di quanto corrisposto al lavoratore in conseguenza dell’infortunio, la circolare n. 22, precisa che l’attivazione dell’azione di regresso non può basarsi sul semplice riconoscimento dell’infezione da Sars Cov-2.
Secondo i chiarimenti di INAIL “in assenza di una comprovata violazione da parte del datore di lavoro, pertanto, delle misure di contenimento del rischio di contagio di cui ai protocolli o alle linee guida di cui all’art. 1 comma 14 del D.L. 16 maggio 2020 n. 33, sarebbe molto arduo ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro”.
Invero in ragione del contenuto dell’art. 2087 c.c., il Legislatore, con una formulazione aperta ha previsto l’obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori non potendo prevedere che una situazione di pandemia infettiva avrebbe comportato una gestione difficoltosa della sicurezza sul posto di lavoro e la necessità di una tipizzazione normativa.
Ad oggi, anche alla luce dei chiarimenti da parte di INAIL, senza una previsione normativa specifica rimane il dubbio che il rispetto della normativa vigente e dunque dei protocolli governativi in tema di sicurezza sul lavoro sia condizione sufficiente a consentire al datore di lavoro di assolvere agli obblighi ex art. 2087 c.c. così da poter riaprire la propria attività in sicurezza, al riparo da eventuali costosi giudizi di responsabilità civile e penale.
Si auspica pertanto un intervento normativo che chiarisca definitivamente che il datore di lavoro, che assolve agli obblighi imposti dai protocolli adottati dal Governo insieme alle parti sociali, sia esente da ogni responsabilità per il caso in cui il lavoratore risulti contagiato dal virus Covid -19.
Gli avvocati dello studio sono a disposizione per l’analisi e la consulenza in merito a ciascuna singola problematica.
Circolare INAIL n. 22 del 22/05/2020
Avv. Andrea Dedoni mail: andrea@studiolegalededoni.it
Avv. Danila Furnari mail: danila.furnari@studiolegalededoni.it